C_risi_ko russo o gioco al rialzo…
di Roberto Bevacqua Direttore Istituto Krysopea
L’inizio del 2022 sembra caratterizzarsi per nuove e temibili tensioni tra blocchi polarizzati su fronti globalizzati. Russia, Usa, Cina sembrano voler ridisegnare le loro sfere di influenza geoeconomica, geopolitica e militare sullo scacchiere internazionale, interessando diversi fronti come quello Kazako, Bielorusso, Libico, Siriano, o quello dello Myanmar, dello Xinjiang e di Taiwan. Ma il pericolo più evidente è oggi quello che si sta sviluppando lungo i confini dell’Ucraina per gli equilibri fluidi della regione e per gli interessi economici e strategici che quest’area racchiude soprattutto per l’Europa che, come al solito, sembra avere diverse voci, molti interessi di parte e una debolezza di fondo della sua linea diplomatica.
La volontà dell’Ucraina di entrare nella Nato, a giugno 2020 il paese è diventato Enhanced Opportunities Partner, si scontra con il concetto russo della sicurezza indivisibile, diretta conseguenza della politica Nato della porta aperta che, nella visione strategica del Cremlino, appare come una minaccia unilaterale ai suoi confini e ai propri interessi ma anche un modo per uscire dall’ombra dei due giganti, USA e CINA, nel rischioso tentativo, però, di non farsi isolare dal primo e dall’UE e di non essere risucchiato dal Colosso asiatico.
Rispetto al 2014, dove la situazione economica russa era caratterizzata dal calo dei prezzi del petrolio, dalle sanzioni della Nato per l’invasione della Crimea con il conseguente deprezzamento di oltre il 50% del rublo e un’emorragia di riserve valutarie gigantesca, oggi la situazione economico-finanziaria si è rafforzata, sostenuta dal quinquennio pre-covid con ritmi di crescita intorno al 2%.
Nell’ultimo anno l’economia russa ha ripreso a galoppare con un buon ritmo, sostenuta dai consumi interni e dalle performance in alcuni settori storici legati all’agricoltura e al reparto energetico, che ha permesso di incrementare notevolmente il fondo sovrano NFW. Risultati positivi di cui ha beneficiato la bilancia commerciale per via degli incrementi di prezzo delle esportazioni in questi settori in direzione Ue e soprattutto sostenuta dalla domanda di gas e petrolio del gigante energivoro Cinese. Entrate importanti che hanno permesso di ricostituire lo stock di riserve ufficiali della banca centrale, una ricomposizione delle riserve ufficiali a vantaggio della componente aurea, un montante valute pregiate a scapito delle riserve in dollari.
Il mutamento degli orientamenti commerciali segue la volontà del Cremlino di privilegiare scambi commerciali con partner storici e le ex repubbliche sovietiche, ma soprattutto con la Cina, leader mondiale del commercio e dello sviluppo di tecnologie innovative, dopo che i traffici con l’UE si sono ridotti per via delle sanzioni dovute all’annessione della Crimea, contestata dall’ONU e dall’OCSE per la violazione del diritto internazionale e le violenze nel Donbass.
Tale rafforzamento commerciale segue la diversificazione dei rapporti politici e finanziari russi e il tentativo di riaffermare un ruolo economico nel commercio internazionale sfruttando quelli che sono i suoi asset principali, gasdotti, petrolio e gas naturale liquefatto. Ciò richiederà però, da una parte una stabilizzazione delle forniture di gas nei paesi europei e un incremento costante della dipendenza cinese da Mosca come partner mondiale nella fornitura di combustibili fossili e dall’altra un riammodernamento tecnologico delle infrastrutture logistiche ed energetiche, sostenute da una transizione tecnologica del paese a partire dagli asset strategici che appaiono i più vulnerabili e legati alla volatilità dei prezzi e alle crisi geopolitiche, come la crisi Ucraina sta a dimostrare.
Una partita difficile per la Russia, che ha bisogno di sostenere la sua crescita, di mantenere stabili i prestiti con le banche europee, di consolidare i flussi con altre economie e irrobustire le sue aspettative tecno-commerciali con la Cina, sulla cui affidabilità Putin deve ricevere serie garanzie.
Il problema per il Cremlino è analizzare le prospettive a medio e lungo raggio e porsi la domanda che molti si fanno e cioè cosa succederebbe alla Russia se isolata dall’Europa e dipendente sempre più dalla domanda cinese di energia – nello specifico il progetto energetico Power of Siberia -, fosse proprio la Cina a dover diversificare le sue fonti e a ridurre, prima o poi, la domanda di fossili dalla Russia? Il rischio di pagare un prezzo elevato per il Cremlino in questa partita è altissimo, sia per il Pil che per le sue strategie geopolitiche.
Ecco che ci si chiede fino a che punto questa crisi possa spingersi. Se da una parte appare molto improbabile un escalation militare, dall’altra le conseguenze di questi attriti già da tempo spiegano i loro effetti sulle economie delle nazioni coinvolte, direttamente e indirettamente, nell’affaire russo – ucraino.
Le contrazioni dovute alle sanzioni, scorporate dal crollo del prezzo del petrolio nel quinquennio 2014- 2019 su dati Ispi, hanno avuto un contraccolpo negativo sugli scambi economici dei Paesi Ue con la Russia di circa 50 miliardi di dollari annui. Stima notevole in termini assoluti ma non in termini relativi poiché rappresenta appena l’1% delle esportazioni totali dell’UE verso i mercati internazionali. Ma ciò non ha impedito di mantenere forte la dipendenza dell’Unione Europea dall’importazione di derivati energetici fossili, né ad alcune merci di arrivare in Russia attraverso operazioni di triangolazione, ma anche per gli importatori di rintracciare beni sostitutivi privi di sanzioni sui mercati internazionali.
Ciò aumenta la fragilità dell’Europa dal punto di vista energetico per la dipendenza dalle fonti energetiche russe, visto che i fornitori alternativi dell’Unione USA, Australia e Qatar in testa ma anche Algeria e Norvegia non sono in grado di sostituirsi nell’immediato al gas proveniente dai giacimenti di Yamal, Soyuz e Brotherhood. E di questo è pianamente consapevole la stessa Ucraina che dipende dai rifornimenti russi per riscaldare il Paese e alimentare la sua economia.
Gli impianti di rigassificazione in Europa sarebbero in grado di lavorare e compensare la maggior parte dei 14 miliardi di metri cubi al mese che l’Europa importa dalla Russia, raddoppiando le entrate dai paesi sopracitati ma ciò sarebbe possibile potenzialmente come media mensile non certo nei picchi invernali
La Francia impegnata a breve con la rielezione del presidente cerca, per ora, una sua visibilità come mediatore più per prese di beneficio di politica interna che per un peso reale sulle sorti della crisi, mentre la Germania sembra accusare il colpo, stretta tra le contrazioni economiche subite dopo la crisi del 2014, i costi di un abbandono potenziale forzato dell’entrata in funzionamento del gasdotto Nord Stream 2 e la necessità di ribadire all’amministrazione americana una fedeltà inossidabile.
Quindi questa fragilità alimenta il gioco al rialzo del Cremlino, spalleggiato dal nuovo e mai pienamente sopportato partner commerciale asiatico, unico silenzioso vincitore per ora nella crisi ucraina, con cui si sta formalmente consolidando un asse di cooperazione che urta i piani di Biden e dell’establishment americano.
Tutto ciò è reso ancor più instabile dalle previsioni economiche sui danni dovuti ad una situazione di stallo della crisi russa – ucraina.
Prezzi in salita e contrazione commerciali, ripresa più debole, volatilità delle borse valori e riassorbimento della disoccupazione in frenata. Questi alcuni temi che si acuiranno se la crisi perdurerà oltre i tempi della diplomazia.
Petrolio e gas usati come leva negoziale dalla Russia su un’Europa debole e dipendente da risorse di cui nel breve e medio termine non può fare a meno, ma Putin sa anche che nuovi dazi e un allontanamento definitivo dall’Unione dei 27 potrebbe rappresentare una mossa azzardata per la sua debole economia e le esportazioni energetiche, basate per più dei due terzi sulla domanda proveniente dall’Europa, mentre l’abbraccio asiatico non è detto che alla lunga non possa trasformarsi in una stretta mortale, visti i differenziali fondamentali tra i due giganti e l’inevitabile urto geostrategico con un partner non così accomodante come la vecchia Europa
Per ciò che riguarda il nostro Paese ancora al riparo da problemi di medio periodo nei settori sopracitati, agricolo e energetico, proprio in virtù della sua produzione cereagricola e la diversificazione oculata delle sue fonti di approvvigionamento energetico, come il gasdotto algerino Transmed, quello libico Greenstream, il TAP proveniente dall’Azerbaijan e le riserve stoccate che garantiscono un buon margine di sicurezza.
Per il settore bancario l’esposizione delle nostre banche (Unicredit) con la Russia e l’Ucraina sono meno preoccupanti di quanto sembrino a una prima analisi. I rischi per Unicredit sono dovuti al perdurare aumento dei prezzi dell’energia che riduce la crescita e quindi le aspettative sui tassi di interesse, e al rischio di esposizione estrema che però sembra essere sotto controllo, visto il rapporto prestiti/depositi che si attesta a meno del 100%, marginalizzando l’erogazione di quasi 8 miliardi di euro di prestiti russi con oltre 72 sportelli e agenzie dislocate nel paese, prestiti che pesano tra l’altro solo il 2%.
Rapporto commerciale storico quello italiano con la Russia. L’interscambio tra i due paesi ha recuperato i livelli pre covid, sbilanciato a favore delle importazioni di energia di circa 15 miliardi di euro, il doppio in valore rispetto a quanto esportiamo, ma che garantisce ottime prospettive di crescita in un mercato estremamente interessante, vista la presenza di aziende importanti al tavolo di Putin, come Tecnimont, Enel e Unicredit a guidare una folta componente imprenditoriale italo – russa nonostante la crisi.
Ciò che appare chiaro è l’assoluta necessità di velocizzare il processo di unificazione europeo, una maggiore integrazione degli interessi e della sicurezza generale dell’UE e dei suoi sbocchi economici, ma anche l’esigenza vitale di spingere il processo di infrastrutturazione e di transizione ecologica, per rendere l’EU indipendente dall’energia derivante da fonti fossili, generatrice di energia pulita e di energia a prova di futuro, trovando una soluzione al carbone di molti paesi dell’est Europa e alla partita sul nucleare che vede interessi e strategie contrapposte tra Francia e Germania.