L’Italia Del Futuro: Una Scommessa Ancora Tutta Da Decifrare
di Roberto Bevacqua, Direttore Regionale Eurispes- Membro Società Italiana Intelligence
In questa fase storica, per i cambiamenti che la nostra società sta vivendo e per l’eccezionale crisi economica indotta dall’epidemia di covid 19, c’è il bisogno di definire un quadro di analisi puntuale della realtà che è in continua trasformazione e fornire certezze riguardo alla ripresa di interi settori imprenditoriali, messi in ginocchio da blocchi forzati della produzione di beni e servizi e da una crollo di liquidità di enorme portata che richiede, non solo una nuova interpretazione delle esigenze del tessuto socio economico regionale, ma soprattutto lo spiraglio di una nuova progettualità per i territori interessati.
I processi di globalizzazione hanno generato opportunità anche per i territori marginali, ma anche maggiori rischi, più disagio sociale, maggiore insicurezza, incremento di competitività per merci e servizi e maggiori disuguaglianze. Opportunità che si sono infrante sotto i colpi della pandemia, che ha costretto per mesi le nazioni a comprimere le loro relazioni economiche, gli scambi di merci e persone, che erano stati fino a pochi mesi fa il fulcro di un libero mercato globalizzato che, con tutte le asimmetrie e le distorsioni del caso, aveva però regolato la vita economica di gran parte delle società mondiali.
Negli anni abbiamo pagato ritardi nelle strategie di tutela del nostro sistema Paese, con carenze organiche nelle strutture di analisi di penetrazione di mercati internazionali e nella difesa preventiva del made in Italy, l’assenza di grandi riforme condivise e il totale stallo nei processi di ammodernamento dell’infrastrutturazione della Nazione, aggravato dall’incapacità di ridefinizione di modelli snelli e efficienti del funzionamento della macchina burocratica.
Tutto questo, come abbiamo spesso ribadito, ha esposto l’economia nazionale al sistema predatorio internazionale, benché legittimamente avallato dal libero mercato. Oggi rischiamo di aggravare questo handicap con l’assenza di una precisa strategia di golden power e di sostegno agli asset tradizionali del nostro Paese, ritardi che alla fine di questa epidemia rischiano di rendere il nostro sistema produttivo debole e alla mercé di gruppi internazionali e di nazioni che usciranno meglio dalla crisi di epidemia da covid 19.
Un mercato globale che in questi anni è apparso come un’arena competitiva, dove la logistica integrata, la digitalizzazione dell’economia, l’Intelligenza Artificiale e la formazione superiore, si sono sposate con strategie multi approccio di medio e lungo periodo e che il covid 19 ha solo rallentato, anzi vi è già una corsa verso l’uscita dall’emergenza che premierà, economicamente, quelle nazioni che più avranno saputo attuare una solida difesa dei loro apparati produttivi, sostenuto i redditi dei loro cittadini e programmato strategie mirate a rendere l’apparato più efficiente, sburocratizzando le decisioni ed efficientando la spesa, ma anche avviato un serio ammodernamento del loro sistema Paese .
La road map del nuovo ordine mondiale del commercio, con l’arrivo dell’epidemia, ha accelerato scontri e nodi tra i giganti dell’economia, Cina e Usa, e ha costretto il vecchio continente a interrogarsi sulle condizioni, le preferenze e le partnership degli scambi della sua economia, se e come relazionare i suoi consumi e le sue produzioni, in ottemperanza ai suoi principi etici e alle sue storiche alleanze.
La Via della Seta pre covid ha rappresentato e rappresenta tutt’ora un’opportunità per gran parte delle economie mondiali, ed europee in particolare, che il governo cinese ha progettato nei decenni passati con lungimiranza e un approccio pragmatico del libero mercato su cui oggi investe, forte di un governo autorevole che non ha bisogno di consensi elettorali.
L’Italia, piattaforma di eccellenza dello scacchiere europeo e americano, in questi ultimi anni nella ricerca di un peso e di un ruolo, in verità non ben precisato, sembra non avere idee chiare sul ruolo geopolitico da ricostruire. Gli Usa saggiano l’alleanza provocando un governo che è sembrato, anche nei fatti esteriori avere a cuore una via cinese, mentre la Russia riaffacciatasi sul mediterraneo cerca col Bel Paese una sponda di dialogo con americani e “europei”, cercando di avvalorare la sua affidabilità.
Bisognerà ristabilire, quindi, una priorità di ancoraggio e non un gioco su tre tavoli, poco credibile e che rischierebbe di rendere evanescente il ruolo di media potenza che potrebbe rivestire il nostro paese in un futuro non troppo lontano, se solo riuscisse ad avere una politica estera condivisa, sfruttando il suo ruolo geocentrico nello scacchiere mediterraneo ed europeo in generale e il fascino che da sempre gioca come nazione nel mondo.
Resta da vedere cosa cambierà oggi e ancor più domani per l’Italia e per un l’Europa, costretta, dopo la brexit, a un riordino interno e, per ora, divisa in tema di scelte su come affrontare l’emergenza di liquidità e depauperamento dei Pil della zona euro, indotta da un epidemia che in questi mesi ha falcidiato persone e imprese.
Serve, dunque, urgentemente al nostro Paese un programma di investimenti strategici lungimirante, una strategia di azione e di sostegno ai nostri principali asset, in modo da riconquistare margini di competitività futuri, erosi dalla lunga crisi di questi anni e culminata con l’affondo devastante dell’epidemia di covid. Agire sulla leva del debito oggi appare il principale obbiettivo, la migliore azione possibile per sostenere la fiducia della nazione e garantire il mantenimento del PIL e la sopravvivenza della struttura imprenditoriale del Paese. Preoccuparsi ora del volume di debito generabile potrebbe apparire prudenziale ma ucciderebbe il tessuto economico in modo definitivo.
Occorre ristrutturare ampi settori fondamentali dell’economia, a partire dall’alta formazione, dalla logistica integrata, dal settore sanitario e dai settori tecnologici, che verosimilmente, condizioneranno i livelli di competizione tra i principali attori del commercio mondiale. Ma serve soprattutto coraggio nelle scelte economiche svincolate da retro pensieri e possibili calcoli elettoralistici della maggioranza, o eventuali azioni speculative della minoranza.
Ora che i dati sulla diffusione del virus sembrano tornare sotto controllo e scatta la riapertura delle attività, di fronte a un economia nazionale asfittica e alle prese con la necessità di capire – il che resta ancora l’incertezza maggiore – quali regole, nazionali e regionali, saranno attuate per la fase di riapertura, e quali fondi saranno realmente messi a disposizione da parte del governo e dell’Europa – nodo ancora tutt’altro che sciolto – bisognerà immaginare quali saranno i settori su cui poter contare, per essere il vero motore della ripartenza per un futuro che oggi appare avvolto in una cortina di fumo.
La scuola e le competenze, ancora una volta, sono e saranno alla base del bagaglio tecnico, scientifico e culturale per affrontare le sfide che i cambiamenti dovuti al covid hanno portato nell’economia e nella vita reale. Le tecnologie informatiche hanno dato alla società un supporto notevole affinché si potesse continuare a svolgere molti dei lavori che la chiusura forzata del sistema economico nazionale sembrava potesse sospendere o addirittura eliminare. I ritardi però nella dotazione di infrastrutture immateriali, software e hardware, non solo di scuola e famiglie, ma anche di imprese pubbliche e private, ha mostrato la criticità di un paese ancora troppo arretrato su questo asset, con – all’interno del Paese- una cronica divisione strutturale sull’accesso all’uso di tecnologie, segnando asimmetrie che rendono poco competitivi i territori ma che allo stesso tempo danno il segnale su come e dove poter intervenire per l’immediato futuro.