Russia: Black Hole o Black Out
di Roberto Bevacqua
Quando si analizza una crisi, una guerra, le frizioni diplomatiche tra Stati e ancor più tra potenze militari ed economiche, non si può prescindere da un’analisi profonda delle ragioni storiche che legano e dividono le parti, gli interessi economici che vengono a collidere, le ragioni commerciali e finanziarie che intervengono con effetti e cause interne ed esterne, reali o indotte. Accanto a questi fattori incidono motivi individuali, opportunità di politica sociale, militare, strategica, radici culturali, fattori ambientali.
Queste sono le ragioni principali ma non esaustive che portano due potenze o, in alcuni casi, schieramenti allargati che si trascinano come satelliti all’interno delle frizioni tra leaders geopolitici in un casus belli come quello afghano, siriano, libico e ultimo russo – ucraino.
Le cancellerie e le diplomazie in questi casi, mettono in moto i loro apparati, i leaders si muovono per evitare il peggio, a volte per riportare al dialogo contendenti che hanno tutto l’interesse a mostrare più muscoli di quanto se ne disponga, altre volte per minacciare essi stessi ritorsioni, sanzioni economico-commerciali e finanziarie dagli effetti, il più delle volte, ridotti rispetto ai proclami e alle deboli intenzioni.
In questo quadro complesso l’informazione diventa rumore, il tam tam dei social diventa sempre più cassa di risonanza che attua processi di validazione sociale delle vulnerabilità psicologiche umane, attraverso bias cognitivi frutto di improvvisazione e del bisogno di appartenenza alla comunità che, di giorno in giorno, si cimentano in analisi di ingegneria militare e politica, sostituendosi agli organi di intelligence e alle diplomazie, scambiando le opinioni per verità, riverberando effetti distorsivi di band wagon effect. Ciò alimenta disinformazione, generando orientamenti e polarizzazioni nell’immenso calderone dei processi di datizzazione replicata simile a quella che Chomsky chiama media d’élite. Dopo l’ingordo processo mediatico e comunicativo sul covid e i vaccini, il processo si è spostato sulla geopolitica delle nazioni, sulle valutazioni, reali ed emotive, delle variazioni di borsa, sull’analisi dei comportamenti dei management di imprese e banche relazionate con altre aziende sparse tra gli schieramenti in conflitto, sulla post verità delle concettualizzazioni geoeconomico-politiche di un mondo sempre più globalizzato, dove a farla diventano surreali complotti, finanziamenti occulti, ingerenze di fantomatiche spie e agenzie governative, alimentando la fame social di uomini in nero che gestiscono il futuro del mondo, appropriandosi di risorse, pianificando riduzioni demografiche e guerre preventive attraverso l’ibridazione di azioni militari.
Ritorna attuale, ma forse lo è sempre stato, Jean François Revel che durante la Guerra Fredda asseriva che << la prima di tutte le forze che governano il mondo è la menzogna >> per cui << coloro che raccolgono l’informazione sembrano avere come pensiero dominante quello di falsificarla, e coloro che la ricevono quella di eluderla >> e aggiungerei in un continuo processo di dipendenza dall’informazione che oggi filtra da internet che provoca assuefazione e intossicazione quanto più grandi sono i flussi di informazione, quanto più basso diventa il livello effettivo di istruzione e lacunoso il pensiero critico delle persone.
La co-petizione internazionale non esclude a volte alcuni di questi strumenti ma oggi l’opinione pubblica diventa oggetto inconsapevole di queste operazioni di disturbo dove le variabili che entrano in gioco per ogni parola presunta di un leader, ogni immagine dubbia che transita sul web, modifica la percezione della verità, minando interessi nazionali o generando aperture ed opportunità tra le maglie della crisi attraverso operazioni di psy ops che il web amplifica, trasporta, genera portando con se fake news e propaganda, tenendo occupate le menti indirizzandole in quel buco nero che è la disinformazione.
Ma per gli analisti il vulnus ucraino ha origini lontane, ed oggi, non del tutto a sorpresa, è esploso con una escalation regionale e non solo, che mostra quanto la radice del problema sia complessa e articolata, investendo ragioni etniche, economiche e geopolitiche, ma anche ragioni strategiche per il riordino di antichi equilibri che sembrano indirizzarsi all’Ue e agli Stati Uniti, passando attraverso la riaffermazione di una logica di potenza dell’area, ma che, con molta probabilità, parla al mondo intero e anche all’alleato scomodo di Mosca, la Cina, vero gigante commerciale e energivoro, in continua ascesa sulle piattaforme logistiche mondiali, ma anche prossimo colosso militare, drago silente che sa cogliere opportunità e spazi vitali sullo scacchiere internazionale.
La crisi innestata dai russi come dicevamo, viene da lontano e l’Ucraina è stata un pretesto offerto, forse prematuramente, dall’occidente, per innestarla, perseguendo la strategia di annessione, volontaria ricordiamolo, di ex paesi del Patto di Varsavia alla NATO, culminato col tentativo tardo di estromettere l’Ucraina dall’orbita russa ed integrarla nell’Occidente.
Dal 1999 quasi tutti i paesi che gravitavano nell’orbita dell’ex Unione Sovietica entrarono all’interno del Patto Atlantico e nel 2008, al summit tenuto a in Romania, si paventò l’idea, sostenuta dal presidente americano Bush, di annettere all’interno della NATO anche l’Ucraina e la Georgia. Questo disegno strategico incontrò l’opposizione di Parigi e Berlino e di poche altre capitali europee, partners commerciali russi e diplomazie di prima grandezza all’interno dello scacchiere europeo, caratterizzati da una real politik vecchio stampo, utile a scongiurare il processo di annessione ed evitare il pericolo di passare dalle proteste a una minaccia diretta della Russia. Minaccia ravvisabile nelle ripetute avvertenze della leadership di Mosca nel vedere compromessi i propri interessi, in virtù di una restrizione dello spazio libero da sfide lungo i confini della sua federazione, certamente in declino economicamente, tecnologicamente e demograficamente ma pur sempre di rango primario tra le superpotenze del pianeta.
L’adesione all’UE è evidente che venga avvertita dai russi come una precondizione dell’allargamento della NATO e una colonizzazione dell’occidente e dei suoi valori liberali sulle ingegnerie sociali dell’est, un pericolo che Mosca tende a scongiurare in virtù della sua sindrome di accerchiamento, ma che rappresenta uno degli aspetti che l’intelligence europea ha teso sempre a valutare come elemento su cui porre serie attenzioni e che consigliava di evitare processi accelerati di fusione, seppure lecite e autodeterminatesi da parte di governi di stati democratici a cui il diritto internazionale riconosce legittimità e libertà di espressione.
Ma la real politik consigliava di attendere e ancor più evitare di umiliare e ridimensionare le preoccupazioni del Cremlino che, spalle al muro, avrebbe avuto il pretesto di agire come ha fatto in Ossezia del sud e nell’Abkhazia prima, in Crimea e nel Donbass dopo e oggi in Ucraina, avvalorando ciò che Alexander Grushko, allora Ministro degli esteri russo, aveva preannunciato nel tentativo di scongiurare ulteriori allargamenti della NATO: <<>
Sulla base di questo ragionamento la creazione di stati cuscinetto indipendenti e neutrali da Mosca e dall’Ue, sebbene liberi di cooperare con entrambi, e soprattutto fuori dal Patto Atlantico, diventa logico ed essenziale per evitare frizioni sui confini russi. Ma proprio sulla base di tale argomentazione, le responsabilità dell’intervento militare russo, ingiustificato moralmente, giuridicamente, umanamente, militarmente da parte di Putin sono anche indirettamente addossabili al tentativo della NATO di separare Kiev da Mosca o per lo meno di allargare la sua influenza fin sotto il limes Russo, e allo stesso tempo l’incapacità dell’Ue di rallentare quel processo di democratizzazione e di ingegneria sociale occidentale fin dentro i confini di un’area storicamente rigida ed incandescente che non ha mai digerito l’implosione dell’impero e la perdita della sua influenza nel cuore dell’Europa, e che ora rischia di essere schiacciata non solo dai suoi vecchi nemici ma anche dal gigante cinese che silenziosamente si espande nell’area, solo economicamente per ora, rappresentando il suo unico ma pericoloso sostegno.
La guerra convenzionale con missili e carri armati si allarga alla cyberwar sapientemente descritta dal generale Allen, ai sistemi ibridi di condizionamento, alla guerra psicologica aumentando il livello di azione e di unione soprattutto all’interno dell’UE.
L’attacco a un paese indipendente da parte di Putin viola il diritto internazionale ed è censurabile senza appello, ma risponde anche a una logica di geopolitica reale che le grandi potenze da sempre riconoscono come oggettiva.
L’aver forzato la mano nel periodo peggiore per l’Ue e per gli Stati Uniti, carica questi ultimi di responsabilità e li impegna a trovare una soluzione alla crisi che lasci un’alternativa di uscita alla stessa Russia che, impantanandosi sul suolo Ucraino, rischia di portare nel lungo termine una guerra in cui a perdere saranno tutti. Il Cremlino sa che avrebbe enorme difficoltà a gestire un’occupazione di un paese con oltre 40 milioni di persone, che isolato a livello internazionale non avrebbe scampo, colpito da una quarta ondata di sanzioni, con costi elevati di gestione militare e con un’economia monodimensionale fragile, non reggerebbe a lungo.
Difficile sottomettere un intero Paese che oggi è diventato ancor più strategico per l’occidente, proprio per l’importanza che lo stesso conflitto ha portato in auge, così tutte le parti rischiano nella resa conseguenze domino che nessuno è disposto ad accettare.
Ciò complica le cose ma lascia aperta una possibilità di trattativa conveniente per tutti se ognuno riuscirà ad ottenere qualcosa che valga all’esterno come un risultato positivo, utile alla propria reputazione internazionale. La creazione di stati neutrali che collaborino con entrambi gli schieramenti, una ricostruzione dell’economia Ucraina che renda il paese stabile e neutrale, un pacchetto di collaborazioni comuni su altre aree di crisi nel pianeta che avvicini la Russia ai partners europei cosi come rivendicato da sempre dalla politica estera di Putin, ridimensionando tendenze sino-russe o le più remote ipotesi euroasiste di stampo duginiane
Se questa via non sarà possibile allora la crisi sarà lunga e dispendiosa per Putin, a maggior ragione se gli europei si troveranno costretti a indirizzare le sanzioni sul divieto di fornitura di tecnologia di altissimo livello che non è immediatamente intercambiabile con quella cinese, accettando contrazioni delle proprie economie a fronte di un ridimensionamento delle forniture di energia fossile da parte russa, efficientando la produzione di energia, razionalizzando e diversificando i sistemi energetici europei, ma soprattutto escludendo dai sistemi internazionali di pagamento il Cremlino.
La partita che si sta giocando non riguarda più solamente il quadro geopolitico ma investe quello geoeconomico mondiale e geostrategico, che porta in gioco anche la stessa indivisibilità dell’Unione Europea, sempre più pressata dai paesi che più si sentono minacciati dalle elucubrazioni mediatiche dello Zar di Mosca.
Il capitolo sanzioni da sempre ha reso più difficili le trattative tra paesi sanzionatori e paesi sanzionati, spingendo le potenze colpite a forme di resistenza autarchica.
La globalizzazione ha reso complicato raggiungere gli obiettivi che le sanzioni economiche, commerciali e finanziarie cercano di ottenere. Stroncare i traffici, limitare gli spostamenti, colpire le transazioni bancarie rischiano un effetto boomerang proprio sui sistemi commerciali e finanziari di quei paesi che pongono in essere restrizioni economiche. Le compartecipazioni azionarie e le partnership internazionali deprimono tutte le economie coinvolte, desertificando i traffici e deprimendo la crescita mondiale, anche se gli effetti macroeconomici relativi alla crisi russo ucraina concentrati in un peggioramento della crescita, un contestuale aumento dell’inflazione con aumento dei costi di petrolio e gas, potrebbero determinare un impatto relativamente limitato sulla crescita del Pil europeo.
Certamente ci sarebbero effetti in relazione agli interessi nell’automotive di Stellantis, Volskwagen e Renault con contrazione del mercato locale degli stabilimenti di componentistica, sia per quanto riguarda la svalutazione delle partecipazioni azionarie in fabbriche di auto russe sia per il blocco dell’indotto. Erosione del patrimonio che tocca altri settori come l’aerospaziale interessato da progetti comuni di imprese russe e europee, legate da accordi commerciali e compartecipazioni.
Il settore finanziario sembra essere quello più critico nei rapporti tra occidente e federazione russa. L’esposizione di banche italiane come l’Istituto San Paolo e Unicredit, banche francesi come Société Générale con Rosbank e austriache come Raiffeisen Bank, o l’esposizione delle banche americane raggiunge cifre da capogiro, ma se scendiamo nell’analisi relativa vediamo che rappresentano poco più del 2% dell’ammontare totale dei crediti vantati da questi istituti bancari nel resto del mondo. In tutto centinaia di miliardi di dollari certo, milioni di clienti e migliaia di sportelli che gestiscono le transazioni internazionali dei sistemi di pagamento e il risparmio pubblico e privato russo che ne penalizzerebbero fortemente la sussistenza.
Per quanto l’economia moscovita nonostante per l’UE non rappresenti un mercato decisivo rappresentando meno del 3% delle esportazioni complessive dei Paesi UE, le cointeressenze delle imprese europee con quelle russe sono importanti, non più solo nel mercato dell’energia, petrolio e soprattutto gas con riserve per 50.000 miliardi di metri cubi a disposizione che ne fanno il più grande produttore al mondo, dove imprese tedesche, italiane e francesi partecipano a vari livelli ai gasdotti e a società del settore energetico come Gazprom e Lukoil, ma sono stretti anche i rapporti nell’alimentare, nella metallurgia come la svizzera Glencore che partecipa in Rusal nel settore alluminio, chimica e settori tecnologici, con ANSALDO, ENI, SNAM ed ENEL solo per citarne alcuni.
L’uscita del sistema finanziario russo dallo Swift, minacciato dall’Occidente, sembra sempre più probabile, ciò reprimerà le transazioni russe bloccando l’operatività e gli scambi, congelerà gli asset di Mosca, chiuderà gli sbocchi alle esportazioni indebolendo il settore industriale, alimentando crescita dell’inflazione, crollo delle quotazioni azionarie sul Moex e indebolimento pesante del rublo. L’erosione della base economica e finanziaria russa all’origine di tale decisione può innescare una serie di reazioni a catena nei sistemi finanziari internazionali che possono ripercuotersi soprattutto su quei paesi che sostengono a vari livelli Putin e con cui Mosca ha cercato di stringere accordi economici bilaterali negli anni, colpendole attraverso asset freeze e limitazione al commercio.
Certo quantificare un effetto di destrutturazione planetaria che toccherà i nodi delle catene del valore rendendo critici gli approvvigionamenti e i costi delle materie prime deprimendo molti settori economici, che di quelle materie prime hanno un estremo bisogno, risulta oggi difficile dirlo ma la certezza che ciò avvenga non è più in discussione e non riguarda solo il gas e il petrolio ma anche alluminio, rame, titanio, palladio, cereali platino, nichel, prodotti chimici.
La stessa Cina, energivora e tra i principali attrattori di materie prime oltre che leader nel commercio internazionale, attraverso la portavoce del ministero degli esteri Hua Chunying, deplora l’uso di sanzioni forse temendo che limitino anche gli spazi di manovra per l’economia cinese e ribadisce che la Russia potrà resistere alle sanzioni avendo riserve di valuta pregiata pari a più di 600 miliardi di dollari, necessari a metterla al riparo nel medio termine dagli effetti delle sanzioni, avendo altresì negli anni diversificato la sua economia attraverso la creazione dell’unione doganale di libero scambio UEEA, interlocutore di rilievo geoeconomico e geopolitico internazionale e di influenza nelle aree commerciali dell’Europa e dell’Asia.
La regione può contare su oltre 180 milioni di abitanti, su un territorio superiore ai 20 milioni di Km2 e su una ricca dotazione di materie prime, leghe e semilavorati come rame, lamierati, palladio, cobalto, ferro, acciaio, alluminio, legno, cereali gas e petrolio. A livello mondiale, i Paesi della UEEA coprono quasi il 4% del PIL, il 2% del commercio e oltre il 2% dello stock di IDE in entrata. L’esponente politico cinese nel sottolineare che la Russia ha attivato sistemi di pagamento alternativi come il sistema interbancario di pagamento cross border cinese e l’uso di monete sostitutive del dollaro come lo Yuan pone in risalto il ruolo crescente di partenariato sino-russo, ma tiene ben equilibrato i toni con gli occidentali valutando come possibili effetti delle sanzioni possano colpire interessi cinesi legati a rapporti economici con compagnie russe, ben sapendo come gli interessi e gli investimenti europei e americani con la Cina siano a oggi di ben altro spessore quanti-qualitativo rispetto alla più limitata economia russa.Mosca, dunque, rischia di finire nel pantano Ucraino e di pagare un prezzo altissimo. L’Europa,apparsa inizialmente fragile, sotto il ricatto delle forniture energetiche, si è resa conto col passare delle ore che le contrazioni economiche che si genereranno per un suo deciso intervento nel campo delle sanzioni e degli aiuti all’Ucraina non sono più l’interesse esclusivo da salvaguardare ma che vi sono altre priorità da tutelare per la sua stessa credibilità, per la reputazione internazionale e per evitare un effetto domino regionale. Lo stesso principio, anche se di diversa natura ideologica, ha costretto Putin ad agire. Nel mezzo c’è l’Ucraina, la sua sopravvivenza, la sua gente e l’idea che il diritto internazionale debba essere difeso contro l’interesse geopolitico o quantomeno debba essere contemplato quanto e più di questo, ma vi sono anche gli altri territori cuscinetto che potenzialmente si troveranno come l’Ucraina a pagare un prezzo altissimo, con i loro morti, i loro eroi, gli innocenti e i civili, parte debole che spera sempre di essere protetta al di là degli interessi economici e strategici dei territori in cui vivono