giovedì, Gennaio 23, 2025
Politica

Afghanistan cuore dell’Asia sudorientale: dall’inferno di Kabul al quarto inverno talebano

di Roberto Bevacqua

Sono passati oltre tre anni dal ritiro americano dell’Afghanistan e dalla presa del potere talebano. Un altro inverno è alle porte e per l’Emirato islamico e il popolo afghano si preannuncia ancora una volta un periodo estremamente difficile. Dopo 42 mesi manca ancora un riconoscimento internazionale che difficilmente arriverà stante le condizioni di isolamento in cui si è tratto il regime talebano.

Gli annunci e i proclami di apertura ai diritti civili e a maggiore libertà politica e democratica del popolo afghano da parte della guida suprema, l’Amir ul-muminin Haibatullah Akhundzada, sono caduti via via nel vuoto, forte anche della debolezza della diplomazia dei paesi dell’area, interessati per lo più solo alla stabilizzazione dell’Afghanistan in chiave normalizzatrice regionale. Restano intatti, dunque, tutti i problemi e le criticità dell’Emirato islamico che risultano evidenti già con l’istituzione e il rafforzamento del potere del ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del vizio, che prelude e nei fatti attua un controllo sociale totale esercitato anche con estrema durezza. Restrizione degli spazi di liberta, diritti civili congelati, emancipazione femminile che si è ridotta con la negazione del diritto al lavoro, alla libertà di movimento, all’istruzione nelle scuole secondarie, alla salute e alla giustizia; diritti umani non garantiti, con un’accentuazione della discriminazione di genere, una profonda crisi umanitaria spinge il paese in vicolo da cui per ora sembra difficile uscire, soprattutto per Haibatullah Akhundzada la guida suprema  che non ha ancora un pieno controllo dei ministri di Kabul.

Certo che dalla prospettiva talebana il discorso cambia, in quanto l’applicazione della sharia alla società afghana resta coerente con l’islamizzazione del Paese e l’applicazione dei diritti e delle leggi che scaturiscono da essa.

Il processo di islamizzazione del Paese, però, è andato avanti speditamente, funzionale al rafforzamento del potere del vertice talebano di Kandahar e dell’ortodossia talebana che ha messo all’angolo la fazione più pragmatica guidata da Sirajuddin Haqqani, leader dell’ala più spietata dei talebani, nella lista dei terroristi globali con sulla testa una taglia da 10 milioni di dollari, signore dei Talebani del fronte orientale del paese,  e ministro di fatto dell’Interno, favorevole a un riavvicinamento con le diplomazie occidentali anche in prospettiva di aperture di linee di finanziamento e di sostegno economico per uscire fuori dall’isolamento della comunità internazionale e dei paesi donatori. La crisi economica affonda il paese: la disoccupazione supera il 20%, le restrizioni finanziarie e difficoltà di fondi per finanziare le imprese ingessano un’economia fragile e disastrata, il blocco dei fondi esteri e delle riserve valutarie non aiutano una ripresa che non c’è, Pil contratto del 30%, aiuti umanitari contratti del 50%. Con questi numeri il paese non è collassato, ma è sull’orlo del baratro. Problemi idrici, contrazione del settore agricolo, ospedali e salute pubblica precari sono settori in cui la Banca mondiale prova a bypassare il rigido controllo talebano sulla società e sulle donne in particolare, vittime di un irrazionale oscurantismo che evidenzia una misoginia secolare e un arcaico sistema di privazione di diritti fondamentali della persona.

Il rafforzamento del sistema paese attraverso aiuti e sostegni esteri, rischia effettivamente di rafforzare il regime talebano ma d’altra parte rafforzerebbe anche le dinamiche politiche e sociali interne del paese con la possibilità nel lungo periodo di creare dipendenza economico finanziaria dall’esterno e dall’altra di rafforzare la società civile afghana.

 

 

 

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