La Trattativa: Dinamiche Psicosociali e Strategie nella Gestione del Conflitto.
di Domenico Praticò
La trattativa, intesa come processo di negoziazione tra parti con obiettivi divergenti, è una componente intrinseca della psiche e del comportamento umano. Il conflitto israelo-palestinese rappresenta un esempio paradigmatico di come individui e gruppi possano perseguire obiettivi ambiziosi e spesso inconciliabili, richiedendo strategie di negoziazione per raggiungere compromessi soddisfacenti. In questo contesto, la gestione del conflitto e la capacità di negoziare diventano competenze fondamentali per garantire risultati positivi e duraturi.
La raccolta informativa preliminare è essenziale per comprendere come queste risorse saranno utilizzate e per definirne il contesto, le strategie e le tecniche applicative della trattativa. Le principali cause del conflitto includono divergenze di opinione, incompatibilità caratteriali e malintesi. Le divergenze di opinione si riferiscono alle differenze fondamentali nella percezione storica e nelle aspirazioni nazionali, mentre le incompatibilità caratteriali comprendono ostilità radicate e sospetti tra le parti. I malintesi, dovuti a una comunicazione inefficace e alla mancanza di fiducia, possono essere mitigati attraverso la diplomazia, la disponibilità e la sensibilità, elementi chiave per un confronto costruttivo.
Alcuni tratti di personalità possono esacerbare i conflitti. Tra le personalità “negative” vi sono il narcisismo, caratterizzato dalla ricerca costante di attenzione e dalla mancanza di spirito di gruppo; l’accentramento, che implica diffidenza e arroganza, con riluttanza a delegare; il servilismo, che si manifesta con obbedienza cieca che appiattisce la creatività del gruppo; l’esibizionismo, simile al narcisismo, con tendenze a prendersi meriti non dovuti. Al contrario, altre personalità possono favorire la risoluzione dei conflitti. La personalità democratica è aperta alla discussione e al dialogo, mentre il supporter stimola e aiuta il gruppo, orientato ai risultati collettivi. Il comunicatore è in grado di trasmettere efficacemente anche i punti complessi, rispettando le opinioni altrui, ed il mediatore promuove lo spirito collaborativo e blocca atteggiamenti individualisti ed infine l’entusiasta che crea un’atmosfera positiva e stimolante.
Le fasi di risoluzione del conflitto attraverso il problem solving includono la focalizzazione dei punti di disaccordo, l’analisi delle situazioni, la proiezione delle soluzioni e l’esecuzione del piano di accordo. Negli anni ’90, Bush e Folger hanno proposto due approcci alla mediazione: il problem solving, focalizzato sulla risoluzione del problema evitando il conflitto, e la mediazione trasformativa, che mira a far comprendere alle parti il punto di vista reciproco, coinvolgendo il mediatore solo inizialmente.
L’HUMINT, a tal proposito, offre informazioni dettagliate e contestualizzate che possono essere difficili da ottenere attraverso altri mezzi. Questo tipo di intelligence è particolarmente utile per comprendere le dinamiche sociali e culturali locali. Gli operatori HUMINT possono adattarsi rapidamente a situazioni in evoluzione, raccogliendo informazioni in tempo reale che possono influenzare le decisioni strategiche e operative. Le operazioni HUMINT possono contribuire a costruire relazioni interpersonali con attori locali, migliorando la comprensione reciproca e facilitando la cooperazione nella prevenzione del conflitto.
L’intervento di un mediatore imparziale e qualificato può essere cruciale per gestire il conflitto. La mediazione efficace richiede una comprensione profonda delle dinamiche psicologiche e delle personalità coinvolte. L’applicazione delle strategie di mediazione e problem solving possono facilitare la comprensione reciproca e promuovere soluzioni sostenibili. Un mediatore imparziale può aiutare a focalizzare i punti di disaccordo, analizzare le situazioni e proiettare soluzioni che tengano conto delle esigenze e delle motivazioni di entrambe le parti.
La mediazione è un processo cruciale nella risoluzione dei conflitti, poiché consente alle parti in disaccordo di raggiungere un accordo attraverso l’intervento di un terzo neutrale. Tuttavia, il ruolo del mediatore può essere soggetto a manipolazione, che può influenzare significativamente l’esito del processo di mediazione. Il mediatore imparziale facilita la comunicazione tra le parti in conflitto, aiutandole a trovare una soluzione consensuale. Le competenze chiave di un intermediario includono l’ascolto attivo, la capacità di comprendere e riflettere le preoccupazioni delle parti, la neutralità, il mantenimento di un atteggiamento imparziale ed equidistante dalle parti, la comunicazione efficace e la capacità di aiutare le parti a identificare soluzioni creative e praticabili.
La manipolazione del conciliatore può assumere diverse forme, tra cui l’influenza indebita, dove una parte può cercare di influenzare il mediatore attraverso la persuasione o la pressione, per far pendere la mediazione a proprio favore; la disinformazione, fornendo al mediatore informazioni false o fuorvianti per distorcere la sua percezione del conflitto; le ricompense o minacce, offrendo benefici personali o minacciando conseguenze negative per influenzare le decisioni del mediatore; il bias cognitivo che sfrutta pregiudizi o inclinazioni personali del mediatore, consapevoli o inconsapevoli.
La manipolazione può avere gravi conseguenze per il processo di risoluzione del conflitto. Se le parti percepiscono il mediatore come parziale o manipolato, la fiducia nel processo di mediazione può essere compromessa. Inoltre, la manipolazione può portare a soluzioni che favoriscono una parte a scapito dell’altra, generando ulteriori risentimenti e conflitti. Una mediazione manipolata è meno probabile che produca accordi duraturi e soddisfacenti, aumentando il rischio di un ritorno al conflitto.
La formazione adeguata e il rispetto di rigidi standard etici sono fondamentali per prevenire l’alterazione del mediatore. Essi dovrebbero partecipare a corsi di aggiornamento e formazione continua per rafforzare le loro competenze e consapevolezza delle dinamiche di manipolazione. È importante aderire a codici etici professionali che enfatizzano l’importanza della neutralità, trasparenza e integrità. La supervisione e il feedback regolari possono aiutare i mediatori a mantenere l’obiettività e a identificare possibili influenze manipolative. Coinvolgere supervisori esperti che possano monitorare il processo di mediazione e offrire consigli imparziali è una strategia efficace. Inoltre, raccogliere feedback dalle parti coinvolte permette di valutare la percezione della loro imparzialità e dell’efficacia del mediatore.
I mediatori possono adottare tecniche di autocontrollo per ridurre la suscettibilità alla manipolazione. Riconoscere e gestire i propri bias cognitivi ed emotivi è fondamentale, così come utilizzare tecniche di riflessione e autocritica per valutare la propria performance e mantenere la neutralità. Definire confini chiari tra sé stessi e le parti in conflitto aiuta a prevenire l’influenza indebita.
L’intelligenza artificiale, sebbene in continua evoluzione, non potrà mai sovrastare completamente il processo di conoscenza umano, che è profondamente radicato in rapporti empatici ed emozionali. Questi ultimi sono influenzati da dinamiche psichiche che non possono essere interamente comprese o replicate da algoritmi, ma sono regolati da leggi chimiche, antropologiche e sociali. Sebbene l’intelligenza artificiale possa offrire un aiuto prezioso in ambiti come la precisione scientifica, militare, meccanica ed elettronica, sarà estremamente difficile, se non impossibile, che una macchina possa manipolare in modo efficace e disinformativo l’empatia umana, almeno per quella parte della popolazione che ha sensibilità innata e capacità di discernere tra true or false.