Kamala Harris la nuova “vecchia” candidata democratica.
di Antonio Chizzoniti
Dopo il travagliato quanto auspicato passo indietro di Joe Biden quasi l’intero establishment Dem si affretta a dare il proprio endorsment all’attuale vicepresidente Kamala Harris.
Un po’ per comodità, l’attuale campagna presentava già il nome della Harris il che renderebbe certamente più giustificabile il repentino trasferimento di fondi, un po’ per mancanza di alternative, il deep state democratico sta cercando di creare e trasmettere entusiasmo intorno alla candidatura della Harris.
A dispetto di quanto si possa percepire la probabile candidatura della Harris racchiude in sé le principali problematiche del establishment democratico, prima fra tutte la convinzione di poter far passare come “normali” situazioni che se comprese nella loro pura realtà rischierebbero di minare le fondamenta della democrazia americana.
Le gaffe i problemi di salute di Biden sono cosa nota ormai da tempo, talmente nota che solo il mondo dei media liberal riusciva a negarla o almeno così ha tentato di fare fino al confronto televisivo andato i scena tra i due (allora) candidati alla presidenza.
Dopo quella sera Biden, candidato perfettamente sano, forte e con una memoria brillante si è trasformato in un peso da scaricare a tutti i costi.
E alla fine così e stato, confermando l’unica invidiabile efficienza dell’apparato Dem: una volta che la “campagna mediatica” parte è quasi impossibile fermarla finché non raggiunge il proprio scopo. Tanti volti noti da George Clooney a Beyoncé (La popstar, tra le più influenti e potenti d’America ha dato il via libera alla Harris per usare la sua canzone “Freedom”, in campagna elettorale) si sono affrettati ad appoggiare la Harris tentando di ridare hype ad una campagna sottotono.
La domanda principe è: Kamala Harris ha più chance di Joe Biden di battere Donald Trump? la risposta è si ! ciò che inquieta sono più che altro le motivazioni, probabilmente in questo momento qualsiasi cittadino americano moderato, in piena salute e con un numero non elevato di scheletri nell’armadio avrebbe più chance di un Biden malato e malconcio.
Quale sarà la retorica della Harris? probabilmente farà leva sull’unico tema che se opportunamente veicolato potrebbe avere un appeal su una fetta di elettorato liberale, ovvero la sua precedente carriera da procuratrice e di come in quelle vesti abbia opportunamente perseguito gli “imbroglioni e predatori” come, a suo avviso, è Trump.
Altre tematiche potrebbero essere i diritti LGBTQ o il sostegno alla causa palestinese; tuttavia, queste tematiche potrebbero rivelarsi molto scivolose.
Punto debole? Appare marcata la distanza con la c.d. Rust Belt, ovvero quella fetta di America rurale ed operaia che include swing state come la Pennsylvania, la Virginia Occidentale, l’Ohio, l’Indiana spesso decisivi ai fini del raggiungimento del magic number di grandi elettori.
Quella “cintura di ruggine” dalla realtà povera e controversa che racchiude in sé, nel bene e nel male, gran parte dello spirito made in USA, realtà magistralmente descritta in “Hillbilly Elegy” autobiografia a penna di J.D. Vance. Se ve lo state domandando è proprio il J.D Vance che Donald Trump ha scelto come suo candidato vicepresidente. Uomo controverso, frutto della propria storia e incarnazione dell’american dream Vance potrebbe essere ciò che mancava al movimento di Trump, e forse all’intero partito Repubblicano, un conservatore uomo di cultura e con una penna più che raffinata.
Basterà l’apporto di Vance a far si che Trump si aggiudichi gli stati in bilico? non lo sappiamo, ciò che è certo è che la carta Vance vale più di quanto si riesca a percepire dalle nostre parti.
Ci accingiamo alle presidenziali le più controverse e delicate della storia moderna e con un quadro geopolitico incerto ed instabile. Come nella più classica delle roulette russe la pistola è sul tavolo e il proiettile colma un unico foro del tamburo, a sfidarsi non sono due candidati ma due visioni distinte dell’America capaci di tutto, finanche di gettare il mondo nel caos.