La Geopolitica delle Transizioni
analisi del Dott. Roberto Bevacqua
Il tema delle transizioni tocca molti aspetti interconnessi i cui effetti incidono non solo sui sistemi di produzione, ma anche sulle relazioni tra sistemi geopolitici, determinando i rapporti di forza e le future leadership internazionali.
Sono temi legati da relazioni sistemiche che influenzano economia, finanza, occupazione, servizi, delocalizzazione di imprese, sicurezza nazionale. Settori strategici condizionati da innovazioni tecnologiche e da mutamenti nelle scelte di governance politica che aumentano o riducono la competitività di un Sistema Paese, rafforzandone o indebolendone la posizione e il prestigio sul quadro internazionale.
Tale argomento tocca a pieno titolo dunque la Geoeconomia e la Geopolitica, poiché le rivoluzioni, ecologica, tecnologica e digitale, viaggiano insieme, in una sorta di sinergia dello sviluppo paradigmatico del 3° millennio.
La transizione digitale, per esempio, in atto dagli inizi degli anni 2000, con il passaggio dall’analogico al digitale, ha prodotto l’esplosione del fenomeno della datizzazione come merce preziosissima, raffinata ed estrapolata da algoritmi di ultima generazione e che si porta dietro problemi di condizionamento e di sicurezza nella sfera pubblica e privata (ma che ha prodotto anche avanzamenti tecnologici nei sistemi IOT, IA, Machine Learning, Chat-gpt, Genetica, Robotica).
Ma sono tutte e 3 le transizioni che interconnesse tra di loro mutano la dimensione produttiva, di distribuzione, di consumo, di comunicazione, di relazione e sicurezza della nostra società, incidendo profondamente sul settore socio-economico e ambientale, sia nella dimensione nazionale ma soprattutto su quella internazionale.
Si modificano le sfere geoeconomiche e si influenzano i rapporti di forza e di dipendenza, anzi di interdipendenza degli scambi globali, in un momento di mutamento della globalizzazione che ricompone le catene del valore, in un processo di regionalizzazione della mondializzazione, di globalizzazione selettiva.
Pensiamo all’ Inflation Reduction Act, al Buy European, ai Processi di Reshoring per tutelare le industrie strategiche, evitando blocchi della supply chain e per rafforzare le componenti critiche della competizione futura in campo energetico e tecnologico. La guerra russo – ucraina sta ridisegnando le frontiere della geoeconomia attraverso blocchi geopolitici, caratterizzati, però, in questa fase di riposizionamento, da agende politiche liquide, guidate da pragmatismo e da una real politik che lascia ai paesi geo-strategicamente amici, spazi di manovra più o meno svincolati in campo economico e finanziario rispetto alla polarizzazione politica
Focalizziamoci sulla competizione tra Cina e USA, le 2 massime superpotenze economiche e tecnologiche. Un conflitto in cui aspetti politici si mischiano a una competizione squisitamente geo-economica. Il divieto di esportazione di semiconduttori di tecnologia statunitense in Cina, produrrà un rallentamento nel breve periodo dello sviluppo tecnologico cinese per difficoltà di reperimento di sistemi e apparecchiature di produzione di microchip e di conseguenza un aumento del deficit commerciale e una contrazione del suo pil, col rischio di un effetto sostituzione dei suoi prodotti con quelli di altri competitor globali, ma potrebbe anche rafforzare le capacità nel M/L termine dell’industria cinese per rendersi autonoma al suo interno allargando le fasi della catena di produzione nel settore dei semiconduttori di fascia meno elevata così come nell’offerta nazionale di prodotti tecnologici. Insomma si espande e si concentra il controllo del mercato di tecnologie avanzate in particolare di apparecchi della manifattura dei microchip. La Cina oggi produce circa il 6% dei microchip, soprattutto con SMIC produttore a 7nanometri, ma importa solo da TSMC il 70% dei chip necessari per alimentare la propria industria elettronica. TSMC produce il 92% dei microchip più avanzati per gli USA a 3 e a 4 nm, mentre Taiwan produce il 60% di tutti i semiconduttori mondiali e il 90% di quelli più avanzati. Questo spiega anche l’interesse non solo politico, storico e identitario cinese su Taipei e l’interesse economico e strategico mondiale a difesa di Taiwan. Ulteriore aumento di competizione quasi neo-mercantilistica sono le restrizioni a finanziamenti alle imprese americane operanti in Tecnologie Green, IA, nel Computer Quantico, 5G, Semiconduttori e apparecchiature complementari, tecnologie verdi che utilizzano tecnologie cinesi o che si espandono in Cina, anche per tutelare settore difesa e sicurezza nazionale.
Questa guerra tecnologica, che investe anche il settore green, tra i 2 colossi dell’economia mondiale trascina effetti negativi nel resto del globo, ma ciò tocca anche le imprese americane nel breve periodo, costrette a ristrutturare i propri sistemi di produzione e commercializzazione, e a trovare sostituti dei prodotti cinesi a buon mercato, diversificando anche l’importazione da Taiwan in vista di una potenziale crisi con la Cina nei prossimi anni.
Così, nel riposizionamento geoeconomico mondiale il Giappone apre il proprio territorio alle principali aziende di semiconduttori mondiali, americani, coreani e taiwanesi. Quindi da una parte la necessità di mantenere aperti i canali degli scambi e degli investimenti commerciali transnazionali, dall’altra la necessità di fronteggiare una guerra economica multilivello per il predominio nelle transizioni tecnologica, verde, e sui processi di digitalizzazione.
Una Competizione nei settori strategici, a cui si affianca la corsa all’accaparramento delle terre rare e i depositi di litio, nickel, cobalto e grafite necessari per sostenere e guidare l’industria nelle transizioni gemelle. Competizione che si arricchisce dei processi di rilocalizzazione di imprese internazionalizzate, non solo multinazionali tech, come Apple, Intel, Ibm, Tsmc, Samsung, Panasonic, ma anche in altri settori in paesi che offrono alternative alla fabbrica del mondo, cioè alla Cina, in termini di vantaggi differenziali del costo del lavoro, disponibilità di tecnologie e trasporti nodali e lineari efficienti, pensiamo a India, Pakistan, Magreb, Turchia e anche al nostro Mezzogiorno.
Alla politica americana sempre più concentrata nella competizione con la Cina nei settori tech e green, si agganciano altri paesi, sempre più coscienti che una forte dipendenza sino-centrica è strategicamente pericolosa in settori e asset fondamentali della competizione internazionale.
Giappone, Olanda, Australia, e a diversi gradi e sensibilità l’UE e con ancor meno interesse, per ora, gli altri paesi del BRICS e l’Asia Centrale ma soprattutto l’Africa che, apre sempre più la sua economia agli IDE cinesi, scambiando risorse prime con investimenti in infrastrutture e risorse finanziarie con un approccio win win come porti, infrastrutture, edilizia, tecnologie, attrezzature militari, prodotti informatici, imprese di estrazione di terre rare e prodotti minerari.
Attualmente, la dipendenza dell’Ue da paesi terzi, tra cui la Cina, per una serie di materie prime critiche fondamentali per la transizione verde e tech è persino maggiore di quella dalla Russia per i combustibili fossili a livello pre-guerra. Il 57% delle necessità di batterie elettriche per il settore automotive europeo arriva dal settore greenfield di IDE cinese, CATL, Envision, AESC e SVolt. Leader nella produzione di batterie al mondo è la Cina seguita da Corea del Sud e Giappone La competizione che determinerà le leadership del futuro nel settore green si basa sull’acquisizione di prodotti minerari da utilizzare nel ciclo produzione di componenti ed elementi tecnologici.
Mi riferisco alle Terre rare come lo Scandio, quotato anche a 3.500 dollari al kg, l’Ittrio e i 15 lantanoidi a cui si aggiungono le materie prime critiche tra cui metalli ferrosi e i non metalli come litio, nichel, cobalto oltre la grafite.
La Cina è il maggior produttore seguono USA, Myanmar e Australia. Grandi riserve si trovano in Cina, Vietnam, Brasile, Russia, India, Cile, Argentina e nell’Artico, Repubblica Democratica del Congo. 250.000 t. circa di produzione di terre rare oggi, che producono 500 ml di rifiuti tossici con un riciclo attuale solo dell’1% per mancanza di infrastrutture e tecnologie adeguate, con problemi di inquinamento del suolo e delle acque, riduzione di biodiversità.
Nel prossimo decennio si prevede un aumento di produzione di 20/30 volte di questi componenti base dell’industria verde e tech, mentre a oggi si ricicla solo il 5%. L’Industria cinese, sta investendo su tutta la catena di produzione, con il più alto numero di brevetti registrati al mondo. La Geopolitica delle Transizioni, quindi, rappresenta uno dei temi di maggiore attualità del dibatto sociale, politico e geo-economico.
Trovare un equilibrio nel trade off tra inflazione e accelerazione della transizione energetica è un punto nodale delle decisioni di governance politica, anche in considerazione dell’espansione monetaria seguita alla pandemia e all’escalation militare e alla guerra russo ucraina che ha generato spinte inflazionistiche e accorciato le catene del valore con restrizioni degli scambi internazionali, e che impone continui aggiustamenti degli Outlook economici dei paesi e riposizionamenti e scelte radicali in campo energetico.
Si impone, dunque, una gradualità nei sistemi di transizione tra tecnologie e energie collaudate e sistemi alternativi innovativi che ammortizzino i costi delle imprese e dei cittadini, tutelino il lavoro e i sistemi produttivi.
La Transizione verde della Cina impone di ridurre le emissioni di CO2 ma ciò si scontra con le sfide della espansione economica e della sicurezza energetica, in un periodo in cui si è ridotta la sua crescita, esplodono alcune bolle finanziarie nel campo immobiliare, aumentano i costi per l’invecchiamento della popolazione, cresce il debito pubblico, aumenta il costo del denaro e si riduce il differenziale del costo della manodopera, subendo la concorrenza di paesi vicini come l’India, aumenta lo scontro con i paesi occidentali, si pone la questione del quadrilatero di sicurezza intorno a Taiwan, si riducono i margini di manovra delle aziende cinesi in campo tecnologico per le restrizioni delle politiche americane e europee, si complica la questione della via della seta, aumentano le problematiche di inquinamento da carbone e fonti fossili, problemi sanitari, si amplia il fenomeno del reshoring di imprese occidentali che lasciano il paese.
Se da una parte il 25% dei veicoli cinesi sono ibridi o elettrici, dall’altra aumenta la fame energivora della Cina con un aumento del consumo di petrolio e gas e del carbone del 3,3%.
La Cina è responsabile del 28% delle emissioni globali di gas serra, 7 volte più CO2 per unità di PIL rispetto all’UE, ed è fortemente dipendente dal carbone per la produzione di energia, le emissioni dei 54 paesi africani rappresentano l’1% delle emissioni globali, mentre in Africa si trovano 5 su 10 dei Paesi più colpiti al mondo dagli effetti dei cambiamenti climatici: inondazioni, desertificazione e incendi, crisi idrica, con 19 dei 33 paesi più colpiti al mondo da carenza idrica.
Si rende necessaria una gradualità della transizione ecologica che eviti il rischio di incentivare fenomeni di outsourcing produttivo, gradualità supportata dai mutamenti e dalle innovazioni tecnologiche su cui occorre investire grandi risorse in cooperazione e massicci investimenti pubblici in R&S e infrastrutture soprattutto di riciclo, con la creazione di un bacino di lavoratori con competenze green, sostenendo i distretti industriali che necessitano di maggior tempo per completare i processi di conversione.
Le transizioni verde, digitale e tecnologica genereranno 1.000.000 di nuovi posti di lavoro al 2030 e 2.000.000 al 2050 in UE, bilanciando gli effetti di perdita di lavoro nei settori a tecnologia avanzata e a propensione di automazione.
A livello geoeconomico, gli effetti delle rivoluzioni tech, ecologica e digitale sugli equilibri economici internazionali sono ancora di difficile determinazione.
Alla riduzione della dipendenza storica da fonti fossili esterne potrebbe sostituirsi una nuova dipendenza da fonti di approvvigionamento, di terre e metalli rari e di prodotti altamente tecnologici dual use, alimentati da materiali critici ma anche da altissime competenze umane col forte rischio sia per Europa che per Italia di rimanere indietro se non si procederà a ottimizzare grandi risorse e dedicare grandi investimenti nei settori avanzati e nella formazione umana, assicurando, così, un certo grado di autonomia e sicurezza al Sistema Paese sullo scacchiere geoeconomico internazionale.