La criminologia. Finalità di una scienza e obiettivo del colloquio criminologico
Analisi della dott.ssa Adele Brogno
La criminologia è una scienza estesa a più materie. Essa studia le diverse forme di devianza, i soggetti rei, le vittime, le modalità di prevenzione, controllo e contrasto del crimine.
La sua natura multidisciplinare ha permesso di approcciarsi a diverse materie di carattere scientifico, che vedono lo studio della salute mentale, non solo da un punto di vista medico-clinico, ma anche sociale, assistenziale e politico.
Caratteristiche fondamentali sono:
- la sistematicità, in quanto combina i saperi acquisiti dalle discipline oggetto di studio;
- la teoreticità, perché crea relazioni logico-teoriche necessarie a delucidare fatti o eventi;
- la capacità cumulativa/evolutiva, considerata la sua continua crescita in virtù dei diversi campi di studio che la riguardano e delle cause sociali, psicologiche, economiche, in grado di suggestionare quello che è l’argomento di ricerca;
- la capacità empirica/controllabile, essendo essa basata sulle evidenze – sull’osservazione di eventi e soggetti, fonda e consente di padroneggiare le conoscenze assimilate, ammettendo, finanche, anticipazioni e previsioni -.
Il fine fondamentale è così quello di avere un quadro generale di ciò che è lo studio del comportamento antisociale, in modo da conoscere le cause necessarie a stilare programmi di prevenzione e di trattamento.
A giocare un ruolo fondamentale in siffatto contesto è la figura del criminologo, il quale, nello svolgere attività di osservazione, si serve di uno strumento fondamentale: il colloquio criminologico.
Differentemente da quello psicologico, psichiatrico o investigativo, come vedremo meglio nel prosieguo, il colloquio criminologico è “una tecnica e strumento di comunicazione che si svolge nella maggior parte dei casi in un contesto istituzionale, che ha come antecedente il fatto che l’intervistato sia stato riconosciuto colpevole di uno o più reati e ha quale scopo fornire ad altri, che hanno su di lui autorità, informazione sulla sua personalità in relazione alla genesi e alla dinamica del reato, alle indicazioni per il suo trattamento e alla previsione del comportamento futuro”.
Per mezzo di tale tecnica, il criminologo sarà in grado di esaminare le diverse aree sulle quali intervenire:
- fenomeni di patologia sociale (la “criminogenesi”) e dinamica di episodi criminali (la “criminodinamica”);
- indice di pericolosità sociale del soggetto agente;
- idoneità o meno ad avvalersi di provvedimenti restrittivi della libertà personale (es. affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, detenzione domiciliare speciale, detenzione domiciliare per soggetti affetti da AIDS o grave deficienza immunitaria).
Soprattutto l’adozione di provvedimenti alternativi alla detenzione – di cui si è fatta poc’anzi menzione – risultano essere centrali nella valutazione della pericolosità sociale del reo, nonché proficui nel suo percorso trattamentale.
Necessario è di conseguenza sottolineare come l’attività è del tutto criminologica e l’incontro esaminatore-esaminato ha il fine di giungere a una valutazione che andrà a incidere sul “giudizio prognostico rispetto alle modalità di esecuzione della pena”.
È in sede di valutazione, che lo strumento in esame diviene fondamentale, in relazione all’”osservazione scientifica della personalità” (art. 13 O.P.).
Questa viene valutata partendo dalle motivazioni che hanno spinto il reo a commettere il fatto-reato e da ciò che ha innescato e scatenato il comportamento stesso – il tutto finalizzato a ricostruire la storia di vita e famigliare dell’autore di un illecito -.
Da quanto argomentato sinora, si potrebbe quasi ritenere che il colloquio criminologico sia per certi aspetti somigliante a quello psicologico e investigativo.
In verità, salvo qualche affinità, è bene precisare le sostanziali differenze:
- il colloquio investigativo è fondamentale nell’acquisizione di informazioni necessarie alla ricostruzione dei fatti;
- quello clinico, diversamente, soddisfa una richiesta di aiuto, presente anche in quello criminologico, seppure, in quest’ultimo, la sua importanza è alquanto limitata.
Ebbene, il colloquio criminologico non persegue, sostanzialmente, una “finalità di aiuto”, dal momento che manca quella “saturazione del bisogno del cliente che caratterizza la dinamica clinico-terapeutica”.
Colui che svolge siffatto lavoro è tenuto a mantenere un atteggiamento di correttezza e dirittura morale.
Opportuno è così non confondere il fine da perseguire, che nel caso dello strumento preso in considerazione consiste nel “ricostruire la personalità di un soggetto, di tracciare i percorsi di vita, di determinare la pericolosità sociale in relazione all’espiazione di una pena”.
Concisamente, valutare la personalità del reo in un lasso di tempo anche piuttosto breve, nonché “guidare una conversazione e contemporaneamente creare un ambiente tale da consentire la circolazione di informazioni allo scopo di incrementare il processo di conoscenza”.
Pertanto, competenze spettanti alla figura in esame, sono le seguenti:
- un modello “teorico” a cui fare richiamo;
- uno schema che lo aiuti a capitanare il discorso;
- un involto di cultura generale e/o accademica;
- determinate caratteristiche personologiche.
In relazione ai primi due punti, l’esperto di criminologia, oltre ad avere una conoscenza di quelle che sono le scienze del comportamento, deve a sua volta conoscere anche gli aspetti criminologico-fenomenologici.
Ruolo fondamentale è poi quello rivestito dalla cultura generale, che consente all’esaminatore di avvicinarsi al soggetto, “seguendolo nel suo modo di esprimersi, nei contenuti che sceglie esplicitamente, nelle sue idee e nel suo contesto socio-culturale di provenienza”.
Seguono, in ultimo:
- le caratteristiche di personalità del criminologo;
- i processi cognitivi e i piani d’azione attuati dai soggetti (es. effetto alone, errore logico, effetto indulgenza, influenza delle euristiche, effetto della correlazione illusoria, pregiudizi e stereotipi).
Quanto asserito nelle ultime righe parrebbe però rientrare principalmente nell’attività dello psicologo; è chiaro, pertanto, l’effetto diretto che tali dinamiche potrebbero avere nel corso di un colloquio criminologico, il cui lasso di tempo, non consentirebbe all’esaminatore di entrare in rapporto di conoscenza con l’esaminato.
Ragion per cui, l’esperto “scrutatore” dovrà sfruttare il tempo di cui dispone, cercando di individuare quelle che sono le cause di disadattamento sociale del soggetto (debolezze, mancanze ecc.).
In tal modo, un buon criminologo sarà in grado di gestire l’incontro con l’esaminato, senza dare una riproduzione poco nitida della sua figura, relativamente a quelle che dovrebbero essere le sue reali competenze.