Incertezza come base pedagogica.
di Gaetano Marino
La pedagogia da sempre ha studiato come tirar fuori, portare alla luce le potenzialità di ognuno di noi, ma oggi, anzi dal 2020 la società è stata stravolta. Alcuni già annunciavano la fine del capitalismo e l’inizio di una società migliore, ma tanti casi di cronaca ci hanno dimostrato che non è andata proprio così. La ricerca pedagogica si è trovata a dover affrontare enormi ostacoli, sia di natura tecnica ma anche a livello di competenze professionali e in tutto ciò a pagare pegno sono stati gli studenti.
Questo oltre a creare una nuova emergenza educativa porta ad una maggiore sfiducia verso le istituzioni. Se già prima c’era una forte incertezza verso il futuro, oggi non viene più visto come una promessa ma come un tradimento verso le nuove generazioni, portando con sé un forte stress esistenziale.
Questo stress esistenziale si vede soprattutto nei fatti recenti con le parole di alcuni esponenti di ultima generazione, dove dicono chiaramente che i prossimi 2\3 anni saranno cruciali per il futuro dell’umanità. Lo scontro prima era basato sulla contrapposizione vax e no vax, passando dalla guerra e poi le elezioni. Si vive in un continuo stato di incertezza e paura per un qualsiasi evento che non sia chiaramente prevedibile. Proprio questa mania ossessiva di controllo, porta ad uno stato di stress danneggiando il nostro cervello, partendo dall’amigdala che svolge un ruolo centrale nell’elaborazione delle emozioni. Solo la guerra in un certo senso, portando la determinatezza del conflitto, ha portato una certa sicurezza nelle possibili scelte future, la vita o la morte, anche se di certo non la migliore delle determinazioni.
La mancanza di programmazione a lungo termine sottolinea Bauman[1] non aiuta a uscire da questa fase, in cui si vive in un limbo continuo tra diverse paure, dove per sfuggire molti scelgono le vie dell’abuso di alcol e droghe, e molti altri il disinteresse verso tutto ciò che non sia necessario alla soddisfazione dei loro bisogni materiali, così da soddisfare le pulsioni dell’Es e le necessità date dal sistema dopaminergico. Bauman sostiene anche come l’interesse delle masse, deve essere rivolto al mero guadagno materiale e non all’accrescimento personale e all’interesse verso la politica; così da creare sia una circolazione delle élite, ma anche un tradimento delle élite. La scuola dovrebbe di nuovo accogliere il pensiero di Hannah Arendt, ovvero di ricercare la bellezza e quindi il bene come già dicevano i filosofi greci.
Potrebbe sembrare un discorso anacronistico per via dei cambiamenti che il mondo ha affrontato e deve ancora affrontare, ma il perseguimento del bene e della bellezza non deve essere solo per chi studia le scienze umane, ma per tutti gli studenti e le studentesse e ciò per via delle sfide future, dove una forte connotazione etica sia necessaria per non commettere gli errori del passato. Una forte programmazione del futuro, la ricerca di una società utopistica e quindi migliore, ci può dare delle indicazioni su cosa fare, ma tutto ciò ovviamente è un esercizio interdisciplinare. La scuola dando dei modelli culturali, delle regole sociali e tramite lo sviluppo di tutti, può portare più persone a essere soddisfatte della propria vita, creando una voglia maggiore di lavorare per il bene della società, visto che da esso riceve qualcosa restituendo la possibilità a tutti di sentirsi riconosciuti come persone meritevoli di rispetto.
Ora nella maggior parte dei casi, proprio il bisogno di riconoscenza da parte degli altri, fa da motore alle azioni umane. La mancanza di riconoscenza porta con sé l’incertezza verso il futuro perché la non fiducia verso sé stessi non ci consente di guardare in prospettiva un futuro migliore. Certamente questi non sono tempi che ci permettono grande ottimismo verso il futuro, ma il disfattismo e l’immobilismo non portano con sé mai nulla di buono. Anche Morin[2] mette in mostra come l’educazione deve confrontarsi con due problemi cruciali portati dalla conoscenza: l’errore e l’illusione. L’errore e l’illusione hanno come denominatore comune la sottovalutazione di questi due fattori, ma, se vengono sovrastimati, ci portano alla non azione. Oggi si cerca anche di insegnare a non sovrastimare le scoperte scientifiche per non cadere sempre nell’illusione. Ma anche la chiusura dentro i recinti e i paradigmi delle scienze, non ci dà la possibilità di guardare i problemi in fondo e la capacitò di trovare delle soluzioni. La fluidità della società non ci concede di stare lì ad aspettare e studiare con calma le cose ma ci costringe a scendere nelle sabbie mobili date proprio da questa fluidità e dal continuo cambiamento e aggiornamento.
L’incertezza è sempre stata la linfa vitale per la ricerca, ovvero la spinta verso l’innovazione e il progresso e quindi un miglioramento delle condizioni umane. Anche se una prerogativa della ricerca come dice Hans Ulrich Gumbrecht[3] deve essere quella che i finanziatori non debbano dare un obbligo di ricerca, ma lasciare il ricercatore libero di trovare e ricercare per il bene della collettività in modo più naturale possibile, l’incertezza può essere vista come una categoria totale che abbraccia tutto e tutti e che deve essere trasformata da elemento negativo a elemento positivo tale da permettere la crescita e il miglioramento, dando a tutti la possibilità di riconoscimento sociale e personale. La possibilità data a tutti rende la scuola e la società più democratica e inclusiva, ovvero i risultati che le riforme scolastiche inseguono da anni, portando dei risultati altamente discutibili guardando ai dati di abbandono scolastico, dei tassi di NEET e del tasso di laureati tra i più bassi in Europa. La paura verso il futuro non ci dà la forza necessaria all’azione. La fiducia verso il futuro e quindi il cambiamento di paradigma verso l’incertezza nasce da un cambio di passo nella scuola e soprattutto nella selezione degli insegnanti e nella loro formazione. I mezzi necessari a combattere le fake news che spesso sono proprio i mezzi che danno il via alle psicosi che ci rendono tanto irrequieti.
Dare un metodo di selezione delle informazioni, dare una base filosofica per il bello e il buono, e non la smodata ricerca per la soddisfazione dei bisogni qui e ora, e quindi ridare a tutti la capacità di pianificare a lungo termine portando sia una certa fiducia verso il futuro, ma anche il ritorno al pensiero necessario a quella pianificazione, insegnando a essere anche realisti senza dimenticare l’illusione di cui parla Morin.
[1] Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Bari, 2006.
[2] E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina Raffaello, Milano ,2001.
[3] H. U. Gumbrecht, L’ eterna crisi delle scienze umanistiche. Se ne intravede una fine?, Rogas, Roma, 2019.