Indifferenza e disinformazione
del dott. Nicola Pagliaro
Come si può evincere dal titolo, in questo breve articolo, i temi trattati sono quelli legati all’indifferenza ed alla disinformazione, in modo particolare partendo dall’analisi Gramsciana di uno dei suoi tanti articoli: “Indifferenti”.
È necessario chiarire che, questa disamina prende in considerazione i due termini in relazione ai problemi della società odierna, rispolverando quanto scritto da Gramsci più di cento anni fa, cercando di mostrare quello che oggi potremmo definire disagio sociale; anche in questo caso, quest’ultimo termine, può avere diverse declinazioni e molte sfumature, ma noi lo utilizzeremo come termine principe da cui partire per l’intera disamina.
È importante effettuare una premessa sul tema del disagio sociale, che gioca un ruolo importante sia nelle dinamiche riguardanti la società ma anche e soprattutto l’intelligence.
La causa principale del disagio è l’inadeguatezza della classe dirigente e delle scelte pubbliche, queste vengono alimentate e sostenute dalla propaganda seducente da parte dello stato, attraverso strumenti di informazione.
Questa premessa era indispensabile per aprire al problema dell’inadeguatezza della politica e dell’indifferenza; difatti, come accennato in precedenza, l’analisi di questo breve articolo parte dal testo “indifferenti” di Antonio Gramsci, il più grande pensatore marxista del nostro paese.
L’articolo, seppur molto datato, riesce ad essere ancora oggi di estrema attualità per i temi e la raffinatezza che presenta.
Scritto che apparse in forma anonima su La Città futura l’11 febbraio 1917, dove viene messo al centro il tema dell’indifferenza, chi non si schiera, non prende parte attiva alla vita della società, quelli che noi oggi potremmo definire qualunquisti.
Le tematiche, la critica e la raffinatezza con cui Gramsci scrive e denuncia il problema della società in cui vive, sono più che attuali, da qui la necessità di riportare, di seguito, il testo nella sua interezza: “Indifferenti”
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani».
Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato, vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Altri piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno, o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura o sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.[1]
L’articolo di Gramsci è raffinato ma tagliente, dice di “odiare gli indifferenti” perché rappresentano quanto di più esiste di diverso rispetto alle sue posizioni, rispetto a ciò che vorrebbe che prevalesse, ovvero la volontà, la soggettività, l’azione; l’indifferente rappresenta la passività, colui che non ha idee, che vuole il nulla e che tutto accetta.
Non ci soffermeremo minuziosamente nell’analisi del brano, ciò che è importante evidenziare è la partecipazione attiva alla vita sociale, “l’indifferenza è vigliaccheria”, “l’indifferenza è il peso morto della storia” qui si piò notare la dicotomia tra la volontà (attività) e l’indifferenza (passività).
L’indifferenza, nonostante la sua passività, opera senza operare nella storia, nella quotidianità della società, opera concorrendo al mantenimento dello status quo politico, per questo l’indifferenza è una forza conservatrice.
L’indifferenza è fatalità, è abulia, è “la materia bruta che strozza l’intelligenza”, rappresenta la passività che inibisce la partecipazione attiva.
Bisogna ricordare che Gramsci, nel periodo in cui scrisse l’articolo aveva subito l’influenza di Croce e Gentile, filosofi neohegeliani, che esaltavano il valore di una cultura filosofica e umanista, che difendesse il valore della volontà, dell’azione e dello spirito; ma è altrettanto importante ricordare un aspetto decisivo del pensiero marxiano che riguarda il ruolo centrale della prassi (praxis) nella costruzione dell’essere sociale, elemento di pensiero condiviso da Gramsci.[2]
Ecco dunque perché questa breve analisi sui temi che compaiono nel titolo parte dall’articolo di Gramsci, l’indifferenza come la disinformazione rappresentano elementi che concorrono all’attività passiva della società; l’una serve all’altra, così come l’indifferente opera quotidianamente per bloccare l’attività, appoggiando in maniera indiretta l’attività politica, anche la disinformazione concorre agli stessi obiettivi.
Quella che viene denominata società della disinformazione è fondata su una duplice base: da un lato l’eccesso di informazioni e dall’altro costituito dal basso livello di istruzione.
La disinformazione è una delle cause del disagio sociale; come più volte ribadito in articoli e libri di testo dal professore Mario Caligiuri (Presidente della Società italiana di intelligence – SOCINT): La percezione pubblica della realtà è totalmente differente dalla realtà, questo dato di fatto rappresenta l’emergenza educativa e democratica della nostra società.
È la manipolazione costante della realtà, attraverso la società della disinformazione, che inibisce la partecipazione attiva ai problemi quotidiani che viviamo; caso emblematico di quest’ultimo periodo è rappresentato dalle votazioni referendarie: in questo caso, la propaganda di stato ha occupato un ruolo importante nell’esercitazione della pressione mediatica, che in questo caso è risultata essere molto flebile, in un certo senso un’assenza della propaganda che ha agito indirettamente, passivamente, concorrendo al fallimento della chiamata alle urne; esempio importante di come la teoria dell’indifferenza descritta nell’articolo gramsciano, sia oggi più che mai evidente.
Siamo completamente immersi nella disinformazione senza che vi sia possibilità di accorgercene, in quanto siamo in presenza della società della disinformazione; tutto può essere pilotato, mistificato.
In relazione a quanto affermato, chiari esempi sono rappresentati dalle notizie diffuse in tv e sui media, quest’ultimi rappresentano le fabbriche che “producono” disinformazione, alimentando le difficoltà di individuazione e reperimento delle notizie, vista la grande quantità di informazioni che si trovano in rete, e della comprensione della realtà, visto che distinguere il vero dal falso risulta essere molto complesso.[3][4]
Ma la vera disinformazione la mette in opera lo Stato, soprattutto quando in gioco compaiono elementi di interesse economico e riguardano l’ordine mondiale, due esempi lampanti riguardano la pandemia e la guerra in Ucraina.
Tornando al discorso relativo alle referendarie, il professore Caligiuri, in alcuni suoi articoli ha evidenziato che il 75% delle persone aventi diritto al voto non sanno interpretare una frase nella nostra lingua, mentre quasi il 27% sono analfabeti funzionali, ma queste sono le stesse persone che navigano su internet, sui social media, rispondono a quesiti e sondaggi pubblici e votano; è semplice intuire come: in una società come la nostra, dove la propaganda, l’informazione è accessibile a tutti, ma controllata e veicolato ad hoc da pochi, il condizionamento dei profili sopracitati risulta essere importante al fine di “plasmare” elettori e consumatori che non costituiscano problemi al sistema vigente.
Una società passiva, indottrinata attraverso la manipolazione della realtà, per il mantenimento dello status quo imposto dal sistema; ecco che la polemica di Gramsci torna prepotentemente attuale, la sfida contro l’indifferenza è più che mai aperta, ma è necessaria una valorizzazione dell’educazione, l’istruzione deve tornare a ricoprire un ruolo centrale per combattere la disinformazione e tutto ciò che ne consegue da essa.
Dunque, viviamo nella società della disinformazione che opta per un modus operandi che si incentra sulla manipolazione, sul condizionamento delle menti; è necessario il controllo delle menti, operato in modo da rendere impossibile distinguere la realtà; quando crediamo di avere compreso a pieno ciò che ci circonda, in realtà non l’abbiamo compreso affatto.
Bibliografia
M. Caligiuri, Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019.
M. Caligiuri, Introduzione alla società della disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018.
C. N. Coutinho, Il pensiero politico di Gramsci, Milano, Edizioni Unicopli, 2017.
A. Gramsci, MASSE e PARTITO. Antologia 1910-1926, a cura di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2016.
[1] Gramsci A., MASSE e PARTITO. Antologia 1910-1926, a cura di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2016, pp.73-75.
[2] Coutinho C. N., Il pensiero politico di Gramsci, Milano, Edizioni Unicopli, 2017, pp.19.24.
[3] Caligiuri M., Introduzione alla società della disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018.
[4] Caligiuri M., Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019.