giovedì, Novembre 21, 2024
Società

Flashback/Resilienza Il contraccolpo delle armi da guerra sui minori come “sintomo intrusivo” alla loro crescita

di Adele Brogno

Che cos’è la guerra? Cosa il conflitto fra Stati? Sembrerebbero interrogativi ovvi ma che celano interessi che hanno origine da cause di natura ideologica, religiosa, politica ed economica.

Nello specifico, si tratta di un fenomeno sociale che avrebbe ripercussioni non solo sulla dibattuta crisi economica del paese ma anche sulla psiche di numerosi profughi, soprattutto minori, essendo questi più facili da attaccare e sopraffare per la mancanza di mezzi con cui potersi difendere.

In detto contesto andremo difatti incontro ad una problematica piuttosto ardua e percepibile; è quella che vede appunto coinvolte nello scenario delle “guerre” le creature più fragili, ossia bambini e adolescenti.

Da quanto emerso dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza), l’urto di rimando all’evento traumatico, potrebbe col tempo determinare in molti di loro, addirittura l’insorgere di cavernose lacerazioni.

È quanto sta avvenendo, per esempio, nella guerra in atto Russia-Ucraina, seppure non la sola; molti altri sono infatti i conflitti non ancora conclusisi che vedono implicate vittime innocenti: dalla contesa Israelo-Palestinese alle guerre in Afghanistan, Nigeria, Myanmar o ancora in Siria, Etiopia e Yemen. Quelli citati, sono solo alcuni dei paesi di una carta (geografica) da secoli ormai rappresentata da una pioggia di eventi.

Eppure le ferite provocate dalla guerra, vanno bel oltre il pianto, le urla, i lividi lasciati sui corpi dei fanciulli. Sono soprattutto le lacerazioni interiori ad intensificare maggiormente il trauma; sono quelle tinte di nero (come un flashback di ricordi che balena alla mente) e di bianco (come la capacità di resilienza all’evento doloroso). Lesioni spesso traumatiche a livello psicologico, tanto da intralciare la crescita-sviluppo con l’insorgere di “sintomi intrusivi” come ansia, disturbi del sonno, disturbi alimentari ecc.

Negli anni è stato difatti dimostrato come il sopraggiungere delle “guerre” possa alterare lo sviluppo cognitivo soprattutto in infanzia-adolescenza e come questi cambiamenti possano protrarsi nel tempo, finanche nell’età adulta.

C’è da chiedersi: quanto può un evento traumatico come quello in esame, dissestare lo stato psichico dei bambini-adolescenti?

È bene precisare che il semplice concetto di “evento” va distinto da quello di “trauma” inteso come “ciò che concerne le ferite”, ossia le ripercussioni che l’agente esterno (nel caso in questione, la guerra), genera nella persona a livello psico-fisico.

Ogni evento porta perciò con sé una certa “potenzialità” di indurre una condizione di stress cui a volte seguiranno reazioni tormentose a livello psichico, meglio note come Disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Ed è principalmente in bambini e adolescenti la maggiore probabilità che tale intralcio si manifesti: in alcuni con stati emotivi di repulsione e di apprensione, in altri invece, addirittura con effetti conturbanti a lunga durata.

In entrambe le circostanze movente-responsabile del susseguirsi di tali traumi è l’amigdala (file della memoria emozionale), che a seguito di eventi traumatici “scatena eventualmente la risposta di attacco o fuga attivando gli ormoni dello stress”, che genereranno, soprattutto nei bambini, momenti di suspense, proprio come accade alla vista di un vecchio film dell’orrore. Ma siffatto ribrezzo è tutt’altro che un cortometraggio; è la realtà, la stessa a cui stiamo ormai da mesi assistendo: carri armati, bombe, l’allarme delle sirene antiaree, la corsa nei bunker, famiglie spesso divise, case e distrutte, sono tutti fattori che potrebbero avere ripercussioni sullo sviluppo dei fanciulli, danneggiando alcune aree del suo funzionamento come la memoria – magazzino di eventi -,  la coscienza – per molti ricercatori definita come un “sistema di controllo attenzionale delle operazioni mentali” – e l’area del corpo in cui lo stesso trauma trova appiglio.

Il danno generato dalle guerre è colossale. Sono tante, difatti, le storie che trapelano dalle mura delle comunità di accoglienza: bambini che inizialmente si divertono a giocare e tutto ad un tratto esplodono in lacrime, ragazzi dissociati dalla realtà, frammentati più che integrati.

Discorrendo, rinveniamo i minori non accompagnati: abbandonati e disorientati, quelli più coinvolti nel commercio-tratta di esseri umani. Costoro sono forse i più indifesi: divisi da quella sorta di holding materno (“cullare, sostenere, proteggere affettivamente”), troppo presto sostituito da uno “spazio simbolico” animato da “oggetti transizionali” (peluche), che suppliscono da sostegno nei momenti difficili, nelle situazioni di distacco.

E poi vi sono loro, i bambini malati, quelli che giocano già a pugni con la vita: sono i malati di cancro.

In costoro sembrerebbe esserci però una devozione maggiore verso il futuro – causa forse le circostanze già pregresse di cui soffrono – un doppio colpo, un doppio trauma diremmo.

Rintracciare i sintomi segnati dalle armi da guerra potrebbe così essere un “valido predittore della cronicità del disturbo nel futuro”, ma ciò sarà possibile solo per mezzo di operatori competenti.

Psicologi, psicoterapeuti, mediatori culturali ma anche gli stessi familiari (laddove presenti), sono queste alcune delle figure necessarie a creare uno scaffolding – un’impalcatura di supporto tra esperto e minore – in modo da mutare ciò che fa da intralcio al “pensiero distorto”.

Servono misure necessarie a rendere gli adulti di domani portatori di speranza in coerenza con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Necessitano, dunque, terapie di supporto, che se da un lato sono espressione di “vissuti emozionali” passati, da una diversa angolatura appaiono invece come una sorta di base sicura-protettiva a livello psicologico.

Occorre quindi un “ponte di passaggio” che vede coinvolti i servizi territoriali, gli enti pubblici, in primis la scuola (fautore di armonia e integrazione della persona), con lo scopo di “ridurre quel senso di solitudine”, permettendo a bambini-ragazzi colpiti “di sentirsi curati e seguiti” da parte della comunità-società che andrà ad accoglierli.

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