Calo Demografico
di Angela Mascaro
Tra i temi attualmente trattati, come l’imperversare della condizione pandemica, non meno importante è il tema relativo al calo demografico.
Il nostro Paese ha necessità di valutare senza esagerazioni, questo fenomeno, aprendo una seria discussione sul tema perché significherebbe parlare del futuro e del destino che vogliamo consegnare alla nostra nazione. È evidente che quando si parla di demografia non si deve pensare solo ad una vuota e sterile conta di numeri ma è necessario considerare diversi aspetti che questo termine racchiude.
Uno dei principali aspetti è dato dalle influenze che ogni individuo può determinare nella produzione economica e nell’ambiente. I fenomeni demografici dati dalle morti, dalle nascite, dalle unioni e dalle migrazioni sono in grado di influenzare situazioni di vita che avranno conseguenze nel futuro di un paese. Questi ultimi sono poi i sintomi di quello che in economia viene chiamato “capitale umano” ovvero la bassa mortalità che costituisce l’indice della buona salute, così come gli spostamenti, le unioni e le riproduzioni sono le dirette conseguenze delle libere scelte in capo ad ogni individuo.
L’equilibrio economico infatti è sempre stato influenzato da fattori demografici. A tal proposito, si osservi come la crescita della popolazione mondiale, dagli anni 60 in poi, ha sconvolto la struttura del mercato. Questo fenomeno è stato anche causato dall’aumento dell’età media, che però, affiancato ad un repentino calo delle nascite, ha portato ad uno squilibrio generazionale senza precedenti storici. Il fenomeno appare evidente in alcuni paesi più sviluppati, soggetti in modo particolare all’invecchiamento della popolazione, che ha portato ad un complessivo calo del PIL. Tenere conto della demografia permette di aprire una panoramica più completa sul mondo degli investimenti. I paesi con trend demografici decrescenti avranno un incremento dei fondi pensionistici ed una crescita delle aziende che forniscono servizi destinati ai più anziani. Il settore che ne trae maggiori vantaggi è quello farmaceutico.
Ma tornado all’Italia, il nostro paese, tradizionalmente è stato sempre caratterizzato, rispetto agli altri Paesi dell’Europa Occidentale, da un’organizzazione sociale prettamente familistica, da un ritardo nello sviluppo economico e della istruzione, da una concezione femminile contratta, da alti tassi di fertilità e da imponenti fenomeni migratori in uscita.
La popolazione italiana ricevette una drammatica decimazione a seguito della prima guerra mondiale e dall’imperversare della influenza Spagnola, la prima volta, che si registrò un forte calo della popolazione totale. Fortunatamente fu di breve durata rispetto ad altri paesi Europei come la Germania e la Francia, quando nel 1920 ricominciò a crescere notevolmente anche grazie alle politiche demografiche Mussoliniane.
I Trent’anni compresi tra 1945 ed il 1975 possono essere considerati poi gli anni d’oro della demografia italiana grazie soprattutto al miglioramento delle condizioni economiche e all’allungamento delle aspettative di vita. D’altro canto la conseguenza dello sviluppo economico e dell’innalzamento del livello di istruzione fu l’abbattimento dei tassi di natalità in maniera sempre più gradatamente sostenuta. Da allora fino ad oggi il tasso di fertilità totale non ha mai più raggiunto un livello ottimale al netto di effimeri rimbalzi. Tuttavia nonostante il tasso di fertilità calante la popolazione non ha però smesso di aumentare, in quanto negli anni dal 1976 in poi i numerosi nati dalla precedente generazione entravano nella fascia riproduttiva, il boom economico aveva anche fatto azzerare la mortalità infantile, da ultimo la globalizzazione ha per la prima volta dopo le “invasioni barbariche “, reso la penisola Italiana una terra di attrazione per masse di immigranti dall’Europa e dal resto del mondo. Le massicce ondate di immigrazione nonostante le tensioni sociali e le politiche interne si sono rivelate benefiche sia in ambito economico che demografico, tuttavia insufficiente per risollevare le sorti dell’Italia nel lungo periodo.
Ecco quindi che il nostro paese è irrimediabilmente scivolato nella “trappola demografica” mirabilmente descritta da John Maynard Keynes nel suo discorso del 1937 alla Eugenics Society. Andando ad analizzare la struttura della popolazione italiana alla vigilia dello scoppio della pandemia si nota poi che il 13% della popolazione fosse composto da giovani al di sotto dei 14 anni di età ma la percentuale degli “over 65” fosse del 23,2% con una marcata tendenza all’accrescimento.
È inutile dire che una società che invecchia è assai meno propensa a “scommettere sul futuro” preferendo concentrarsi sulla “gestione dell’esistente”, soprattutto se le riforme richieste andassero a toccare i nervi scoperti della riforma pensionistica. Tuttavia il mantenimento ad oltranza di un sistema pensionistico che non rispecchia più la struttura demografica del paese porta inevitabilmente a scaricare tutta la pressione sulle fasce di popolazione costituite dai giovani, che infatti impossibilitati a modificare le strutture esistenti a causa della propria esiguità numerica, reagiscono con l’unico strumento a loro disposizione: “votando con i piedi” (cioè emigrando).
A questo punto è necessario chiedersi, quale impatto ha avuto la pandemia del Covid-19 sulla già delicata situazione demografica italiana?
Tra gennaio e agosto 2021 in Italia si sono registrati 472 mila decessi rispetto ai 448 mila della media tra il 2015 e il 2019. I decessi in più, rispetto a quanto ci saremmo attesi, sono stati circa 33.900, mentre nello stesso periodo del 2020 erano stati circa 45.700 mila. Per avere un ordine di grandezza, nei primi otto mesi di quest’anno c’è stato un numero di morti in eccesso pari alla popolazione di tutta la città di Aosta, che in gran parte possono essere attribuiti al collasso verticale del sistema sanitario nazionale, una volta reputato il secondo migliore al mondo e che invece è stato completamente “sbaragliato” dall’offensiva del nemico pandemico senza che il “sistema Italia” nel suo complesso (politico, amministrativo, sanitario, ecc..) riuscisse ad imbastire una strategia di reazione efficace.
Se per alcuni, la pandemia avrà effetti positivi sulle casse dell’INPS e libererà risorse in termini di dotazioni ed eredità a favore delle fasce più giovani che potranno così reinvestirle nel sistema economico dandovi nuova linfa e vitalità, per altri qualsiasi “effetto positivo” che la morte dei nostri nonni e genitori anziani possa aver avuto sui conti dell’INPS, è stato ampiamente bruciato dalla crisi economica indotta dalla pandemia stessa.
Oltretutto, già prima della crisi economica un numero abnorme di famiglie italiane (soprattutto nel Mezzogiorno) arrivava letteralmente a fine giornata grazie alle pensioni di anzianità dei “nonni”, la fine improvvisa di questo “sostentamento” rischia di lasciarci in eredità una “bomba sociale” difficile da disinnescare e visto il perdurare della situazione di incertezza e senza delle chiare prospettive per il futuro, è assai più probabile che i giovani individui optino per accrescere il livello del risparmio personale con conseguenza di far precipitare l’economia nel cosiddetto “paradosso del risparmio” (cioè diminuzione del consumo da parte di famiglie ed individui con conseguente sottrazione di risorse all’economia in generale che, dopo una serie di passaggi intermedi, ha come effetto ultimo un ulteriore calo dei redditi) con il risultato finale che tale scenario finirebbe per acuire ulteriormente la spirale deflazionistica nella quale la nostra economia è già piombata da almeno 4 anni.
La somma di crisi demografica, crisi sanitaria e crisi economico-sociale equivale ad una catastrofe anche per un paese moderno come la Repubblica Italiana. Quale sarà il bilancio complessivo della “World War Coronavirus” sulla demografia italiana è, ad oggi, difficile da prevedere per il semplice fatto che gli eventi sono ancora in pieno svolgimento. Possiamo però concludere la nostra narrazione guardando agli scenari futuri sull’evoluzione della demografia italiana come erano stati formulati prima che scoppio della pandemia.
A seconda che si voglia adottare una visione pessimistica o ottimistica, l’Italia perderebbe, da qui al 2040, un numero compreso tra i 4 ed i 16 milioni di abitanti. A chi crede che lo scenario peggiore sia esagerato, bisogna ricordare che i fenomeni di crollo demografico di una realtà statuale iniziano sempre in maniera “armonica” ma ben presto hanno la tendenza ad assumere un andamento esponenziale quando l’arretramento demografico va ad infrangere i cardini sui quali si basano il sistema economico e quello sociale.
L’ultima volta che la penisola italiana si trovò ad affrontare una crisi sistemica di questo tipo fu all’epoca della “Guerra Gotica” che oppose il Regno degli Ostrogoti all’Impero Romano d’Oriente tra il 535 ed il 562 dopo Cristo.
Quali effetti possa avere l’avverarsi di un simile scenario sulla stabilità del sistema politico e dello stato in generale, sono considerazioni che vengono lasciate fare ai lettori in piena libertà. In ogni caso è qui necessario sottolineare che il collasso demografico italiano, con tutte le sue complesse ramificazioni, deve essere una buona volta preso seriamente in considerazione dalle élite dominanti perché dalla vittoria o dalla sconfitta che la nostra nazione riporterà in questa “battaglia”, germoglieranno i semi (qualsiasi essi siano) del nostro futuro.
Se da un lato non si conoscono ancora tutte le conseguenze della crisi di COVID- 19, dall’altro è presumibile attendersi che quest’ultima possa avere un impatto significativo su tassi di natalità e mortalità e sui flussi migratori in Europa.
La sfida demografica è una delle priorità dell’agenda dell’Unione Europea, insieme alla questione climatica e della transizione digitale. Un approccio coordinato, mirato ad integrare sostenibilità, ecologizzazione e digitalizzazione all’interno delle politiche dei vari stati, contribuirebbe a invertire questa tendenza demografica negativa.
Durante la plenaria del Parlamento europeo di maggio, i deputati hanno adottato una relazione progettata per affrontare la sfida demografica che l’UE sta affrontando, aprendo la strada alla nascita di una strategia a livello dell’UE su questo tema chiave.
Sia gli Stati membri che le autorità locali svolgono un ruolo ugualmente importante nell’affrontare questo problema. In quanto partner del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, questi soggetti sono nella posizione migliore per ideare soluzioni concrete a favore delle regioni più vulnerabili. Costituirebbe, inoltre, un passo verso la soluzione del problema l’inclusione di azioni specifiche per le regioni rurali e periferiche nella strategia europea di mobilità: le reti di trasporto pubblico potrebbero frenare lo spopolamento rafforzando il collegamento tra aree urbane e rurali.