Russian question: anatomia di un conflitto *
di Roberto BEVACQUA Direttore Krysopea Institute
A un mese dal conflitto appare chiaro che il non aver voluto trovare una soluzione al problema dell’allargamento della Nato nelle zone cuscinetto, ha generato una crisi che a molti appare, e appariva già in passato, prevedibile e inevitabile. Il rapporto tra la realpolitik delle potenze e il diritto internazionale degli stati cuscinetto si scontra con l’interesse legittimo dei secondi a non porsi in situazioni di scontro potenziale rispetto alla visione geostrategica dei primi. Accanto a questo il buonsenso delle altre potenze geopolitiche premere per soluzioni che contemperino compromessi utili a tutti per evitare morte e distruzione, odio e divisioni che si trascineranno per anni.
Ma in questi casi inutile illudersi e riempire pagine sulla moralità e la giustezza delle azioni, le grandi potenze si controllano, si studiano e lavorano ai fianchi da sempre, si combattono attraverso guerre non convenzionali, guerre economiche, di propaganda, cibernetiche, in una sorta di ibridazione costante che totalizza lo scontro permanente. Si generano destabilizzazioni, si scombinano gli scacchieri internazionali e regionali per sovvertire equilibri, indebolire accordi ed alleanze, pesando la forza e la resilienza dell’avversario.
Ciò porta a pattern di conflitti, pochi sono giustificati e giustificabili agli occhi dell’opinione pubblica, altri lo sono meno, alcuni non lo sono affatto, ed è qui che interviene la propaganda e le operazioni di psy-op, che generano movimenti di opinione e attivismo nei paesi democratici, dove la disinformazione è al pari di quella che esiste nei paesi totalitari ma con un’altrettanta capacità di denuncia da parte degli anticorpi del sistema.
Nella guerra russo ucraina, a dire il vero, si sta consumando una guerra di propaganda di tutte le parti in gioco, che genera una certa difficoltà anche nei paesi liberali a garantire la piena espressività di pensiero critico, di analisi che non sia di parte ma che serve a focalizzare le ragioni e le prospettive di questo scontro.
Forse la ragione è che lo scacchiere ucraino è un ambito di scontro più complesso di quello che sembra, pur nella sua drammatica realtà, investe l’idea stessa di un Unione Europea sempre acefala di una visione politica, e pone domande complesse sul concetto di est e di ovest che non riguarda solo il senso di un quadrante geografico – commerciale ma l’equilibrio tra visioni diverse del mondo, ripresentando i fantasmi di un escalation conflittuale nel cuore stesso dell’Europa, riproponendo timori che erano sopiti da decenni, da quella pax gelida che aveva diviso il mondo in blocchi.
Sono passati 8 anni dall’annessione della Crimea da parte della Federazione russa spinta da proprie ragioni politiche e strategiche nella cornice di una visione realista di una potenza militare. Da una parte c’erano i risultati del referendum del 16 marzo 2014 che davano la vittoria alla maggioranza della popolazione filorussa, dall’altra c’era la quasi certezza dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO con in gioco la sorte della maggiore base navale russa nel mar Nero e l’influenza e la liberta di movimento nel mar d’Azov.
Così, in contingenza di quei fatti, l’ex Segretario di Stato H. Kissinger stigmatizzava <<Troppo spesso la questione ucraina è posta come una resa dei conti: l’Ucraina si unisce all’Est oppure all’Ovest. Ma se l’Ucraina deve sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto di una delle due parti contro l’altra- dovrebbe funzionare come un ponte tra di loro>>.
Il vaso di pandora si era rotto a nulla erano valse le valutazioni degli esperti geopolitici come G.F. Kennan, che avvertiva, già nel 1999, sui rischi e gli errori geostrategici di un possibile ulteriore allargamento della NATO in Europa centrale, evidenziando le sicure preoccupazioni sulla sicurezza sovietica e le future azioni di questa per tutelare i propri interessi, visto che aveva già dovuto digerire l’ingresso della Germania riunificata all’interno del Patto Atlantico, così come fortemente voluto dall’Italia di Andreotti.
Vi sono vari punti che vi si intersecano e che producono effetti che muteranno la geopolitica nei prossimi anni, non ultimo il rallentamento della Casa Comune tra UE e Russia che parla con un’anima europea, come già aveva compreso Pietro il Grande ma che si sta allontanando sempre più verso orizzonti “duginiani”.
A Pratica di Mare sembrava essere arrivati a un indirizzo programmatico attraverso il quale iniziare un percorso di avvicinamento della Russia sia all’UE che nella struttura di sicurezza europea.
Molte, dunque, sono le cause e gli errori che hanno portato a questa sanguinosa crisi. Da una parte l’incapacità, voluta o ostacolata, di trovare una soluzione alle intese evanescenti del 1990, tra le potenze occidentali capitanate da G. Bush e il leader sovietico M. Gorbaciov, sul divieto di estensione della Nato oltre l’Oder, come riportato da documenti desegretati negli archivi del National Security americano. Dall’altra parte la non ottemperanza russa del Memorandum di Budapest che vincolava Mosca a rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina, astenendosi da qualsiasi minaccia, dall’uso della forza e di armi o di pressione economica per influenzare la sua politica. In cambio c’era l’impegno di Kiev di smaltire il potenziale atomico ereditato dall’ex Unione Sovietica sul suo territorio, impegno che il governo ucraino rispettò negli anni seguenti all’accordo sul disarmo nucleare.
I successivi errori russi furono l’ammettere l’indipendenza dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia riconoscendo la possibile aleatorietà dei confini degli stati appartenenti all’ex Patto di Varsavia e l’influenza, o meglio le pressioni, su Janukovičh, alla fine del 2013 nel tentativo riuscito di disattendere l’accordo di associazione con l’UE dirottandolo verso l’adesione all’Unione Economica Euroasiatica, pregiudicando così gli interessi europei.
Ma l’errore più grave di Putin è stato militarizzare la questione Ucraina, violando il diritto internazionale, sebbene rispondente come più volte detto alla sua realpolitik. L’invasione ha disarticolato equilibri strategici, isolando e impedendo alla Russia di avere un ruolo attivo nel sistema internazionale cooperativo per i prossimi anni. Le sanzioni e l’isolamento in cui si sta chiudendo indebolirà la sua fragile economia, depauperando i suoi fondamentali e le previsioni di una strutturazione del suo comparto tecnologico e produttivo. Il suo status negoziale di potenza geoeconomica e geopolitica, sia a livello europeo che a livello asiatico, ne uscirà compromesso contribuendo a irrobustire la coesione politica ed economica europea.
Anche se in una prima fase gli spettri di una recessione potranno generare rallentamenti delle economie occidentali ciò contribuirà, come nelle crisi energetiche degli anni “70, a diversificare le fonti di approvvigionamento e a ristrutturare il comparto energetico con un maggior impulso a danno della stessa Russia, costringendo Mosca a stingere relazioni sempre più vitali con Xi Jinping, regalando un ulteriore vantaggio strategico al gigante commerciale cinese che, come sempre, sa attendere, armato di un’infinita, paziente ragione tattica.
Oggi l’Ucraina si trova nella difficile condizione di non poter più essere uno stato satellite russo perché verrebbe avvertito dall’Europa e dalla Nato come una minaccia, ma neanche potrebbe essere all’interno della NATO perché sarebbe la Russia a sentirsi minacciata. La guerra ha ridisegnato il sentire del popolo ucraino e la resistenza all’invasione russa contribuirà al rafforzamento dell’identità nazionale ucraina.
Allora le soluzioni sono abbastanza vincolanti per uscire dalla crisi e dal conflitto. L’associazione dell’Ucraina alla UE non è mai stato un vero problema per la Russia, mentre l’adesione alla Nato di Georgia, Ucraina e altri stati che prima erano all’interno della ex Unione Sovietica è sempre stato contestato da Mosca che non può tollerare che un’alleanza militare stazioni sotto il suo limes. La finlandizzazione dell’Ucraina potrebbe essere la soluzione più accettabile per i russi, un compromesso di non facile digeribilità ma quantomeno più rassicurante per un paese che viene visto da Mosca come una costola indispensabile della federazione. La neutralità dell’Ucraina e il riconoscimento della Crimea alla Russia potrebbero rappresentare un primo passo di un accordo possibile, cosi come un certo grado di autonomia del Donbass, che ricordiamo è la zona più ricca dell’Ucraina. L’ingresso di Kiev nell’UE potrebbe garantire anche un futuro riavvicinamento della stessa Russia all’UE e scardinare la deriva euroasiatica di Mosca, che sembra più un ripiego strategico che una aspirazione, rafforzando così l’Europa sul fianco sino-orientale.