Il potenziale di sviluppo del Mezzogiorno: caso studio o Jolly per il Paese
di Roberto Bevacqua
Sulla divaricazione della forbice della crescita reale nelle macro aree del bel Paese si è scritto e si è detto tanto in questo ultimo mezzo secolo, ma in realtà i risultati di ciò che è stato fatto non hanno raggiunto l’obiettivo finale, voluto o tentato.
Molti sono gli studi che attestano che la crescita e lo sviluppo strutturale del Mezzogiorno, viste le intercorrelazioni industriali e commerciali nelle relazioni di subfornitura esistenti tra il Nord e il Sud, avrebbe ripercussioni di leva moltiplicativa per l’intero Paese, che si ritroverebbe con una crescita del Pil sostanzialmente in linea con quello dei maggiori paesi dell’Unione Europea.
Una sinergia competitiva, dunque, dell’intero tessuto imprenditoriale su scala nazionale, e una forza commerciale strutturata su linee logistiche non più monche ma su piattaforme e reti intermodali che sposterebbero nel mediterraneo gli interessi già appetibili dei maggiori flussi di merci e prodotti internazionali.
A beneficiare di una crescita del Mezzogiorno sarebbero, così, anche le imprese delle locomotive del centro nord, poiché se, come rileva uno studio di Banca di Italia, investire un euro al Sud equivale a un ritorno molto più elevato che investirlo al Nord è anche vero che per ogni euro (ben speso) al Sud vi sarebbe un effetto di ritorno anche per le imprese localizzate nelle tradizionali aree forti del Paese.
Il Mezzogiorno, anche nelle sue contraddizioni e con un nanismo geolocalizzativo dei distretti industriali, rappresenta già l’ottava economia industriale dell’UE.
Pur nelle carenze di sinergie allocative, di bassi livelli della qualità dei servizi essenziali, con la presenza degli indici più bassi di qualità della pubblica amministrazione e della produttività delle macchine istituzionali, una scarsa mobilità e una infrastrutturazione disordinata e arretrata, sia dal punto di vista tecnologico che dimensionale, concentra diverse filiere produttive nell’agroalimentare, nel settore farmaceutico, nell’aereospaziale, abbigliamento e moda e nella filiera automotive che, insieme, rappresentano la metà del manufatturiero del Mezzogiorno generando 23 miliardi di export, 269.000 addetti 15 miliardi di valore aggiunto
Il PNRR pone, almeno sulla carta e forse con un’attenzione nuova, il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno come priorità trasversale a tutte le missioni individuate dalla UE come direttrici guida della crescita e della coesione sociale.
Il Sud, quindi, torna nell’agenda del governo come punto centrale per lo sviluppo dell’intera Nazione, con disponibilità di fondi, una visione strategica del Paese, una volontà politica di attuare il superamento di particolarismi nazionali e le distorsioni allocative storiche recuperando il dettato della nuova formulazione dell’articolo 119 della Costituzione, relativamente alla creazione di un fondo di perequazione per supportare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche degli enti territoriali con minore capacità fiscale: Lo Stato inoltre si impegna con risorse aggiuntive o effettua interventi speciali a favore degliEnti locali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
Quanto di questi dettami si tradurrà in effettivo riordino perequativo dei territori marginalizzati negli ultimi decenni, e quanto di questi progetti e quanta spesa ad essi collegata si tradurrà in vera, attenta, esecuzione in investimenti propulsivi per lo sviluppo reticolare del Mezzogiorno?
La risposta a questa domanda sarà il tempo a darla, certamente senza una cabina di regia che abbia responsabilità esecutive dei progetti e una riforma degli iter burocratici, che da sempre hanno allungato tempi e dilatato i costi, difficilmente i progetti si tradurranno in opere reali e in tempi certi.
In ogni caso non era difficile comprendere, e più di un economista, non soltanto meridionalista lo ha sottolineato e ribadito nell’ultimo secolo (sic!) che tale distorsione italiana fosse alla base di una minore crescita nazionale, e che tali distorsioni alla lunga avrebbero nociuto all’intero Nazione, viste le strette interdipendenze commerciali che vi sono tra il Nord e il Sud del Paese.
Una minore competitività strutturale in tanti settori dell’economia, una marginale integrazione allocativa del tessuto produttivo regionalizzato hanno portato a una fragilità del sistema Paese che stenta a crescere all’interno di un’arena competitiva sempre più globalizzata, digitalizzata e logisticamente interconnessa.
Il ritardo nelle convergenze pubblico/privato a difesa dell’interesse nazionale nei settori strategici, la scarsa propensione alla creazione di relazioni reputazionali per il settore economico nel panorama geopolitico utile al sistema Paese, generano situazioni di debolezza organica della Nazione, tantopiù se a questi nodi si aggiungono ritardi nelle riforme, non più procrastinabili, in settori strategici per lo Stato, giustizia civile e fisco in primis.
Le azioni previste dal PNRR in ottemperanza alle politiche di coesione sociale europee e nazionali sembrano andare nella giusta direzione. Nel tentativo di creare sinergie e complementarietà fra le risorse provenienti dai fondi RRF, con un montante addizionale derivante dai fondi REACT-EU, di cui oltre il 60% saranno destinati al Sud, e la quota anticipata del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2021-2027 e le risorse dello scostamento di bilancio costituiscono un tesoretto da spendere per rimettere in moto non solo le aree tradizionalmente forti del Paese ma per riequilibrare le aree tradizionalmente sacrificate.
Tutte queste risorse dovranno intensificare i piani di azioni nazionali ma soprattutto contribuire al rafforzamento strutturale del Mezzogiorno, attraverso un aumento della quantità delle risorse messe a disposizione per investimenti pubblici atti a elevare la qualità degli stessi. Investimenti nella ricerca, nella digitalizzazione, nell’ambiente, nella mobilità e non ultima nelle infrastrutture sociali: sanità, scuola educazione, istruzione, formazione e maggiori opportunità e sostegno ai giovani.
Questo ultimo punto dovrà segnare una svolta se si vuole che la competitività del paese ritorni ad essere motore dello sviluppo e capacità di leggere il futuro con solide basi formative.
L’istruzione è alla base dello sviluppo, e questo si alimenta con la cultura, ma l’istruzione e di conseguenza la scuola deve ripartire dalla premialità, dalla meritocrazia che genera essa stessa una cultura dell’impegno e del dovere contribuendo a saldare il Paese e a creare quel clima di fiducia nelle istituzioni, bacino di competenza e di spirito civile al servizio della nazione.
Il fulcro della spesa dei fondi RRF comunitari cumulati con il pacchetto dei fondi coesione sociale SC e di quelli del React EU dovranno, quindi, supportare il grande sforzo programmatico di spesa sulle infrastrutture delle aree del Mezzogiorno, oramai da troppo tempo marginalizzate.
L’impegno economico imponente che si prospetta potrebbe realizzare uno straordinario impatto socio – economico per le aree del Sud con stime di crescita del suo Pil intorno a 5 punti percentuali e 4 punti di incremento di occupazione a regime, ponendo le basi per la crescita armonica di questo territorio strategico insieme al resto del Paese, rilanciandolo come polo produttivo e tecnologico d’Europa e ponte strutturale del raccordo strategico europeo con l’Africa e l’Asia.
Gli investimenti infrastrutturali nell’ alta capacità- alta velocità della rete ferroviaria, la portualità intermodale, la mobilità locale, l’infrastrutturazione sanitaria, la riduzione sostanziale del gap tra le diverse aree del paese dei livelli di performance scolastica e infrastrutturazione nel settore educativo, la digitalizzazione reticolare del territorio meridionale attraverso la banda larga e il 5g, presuppongono una visione strategica unitaria supporta da un approccio sistemico allo sviluppo che sembra essere stata implementata nella visione strategica europea e mutuata nella strategia di azione del PNRR nazionale.
La necessità di digitalizzazione e di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, soprattutto meridionali, che sono quelle che più hanno sofferto le crisi economiche in questi ultimi decenni e i ritardi nel riallineamento territoriale nazionale e che ancor più stanno soffrendo della crisi pandemica acuendo le loro debolezze strutturali, le loro fragilità relazionali, va nella giusta direzione del PNRR.
Le PMI, infatti, sono quelle che hanno più necessita a strutturarsi e orientarsi alle esportazioni, così come necessitano di sostegno alla fiscalità di vantaggio e localizzazione distrettuale per aumentare la gemmazione di altre aziende e sfruttare le sinergie allocative.
I maggiori fondi per la ricerca, innovazione e lo sviluppo, gli interventi per l’inclusione sociale, le reti smart, e il miglioramento del ciclo integrato dei rifiuti rappresentano il corollario di sostegno e di impulso alla loro sopravvivenza e alla loro definitiva espansione sui mercati internazionali.
Il potenziamento della scuola, infine, delle sue attrezzature digitali, della sicurezza dei suoi edifici è un tassello fondamentale per la crescita e la parità dei diritti inclusivi al Sud e, come sopra sostenuto, diventa fondamentale per formare nuove classi dirigenti, per il ricambio generazionale di chi sarà chiamato a dirigere i vertici aziendali all’interno dei propri territori, frenando l’emorragia di cervelli che fuoriescono dalle regioni meridionali, impoverendo la qualità e la quantità del suo management, aumentando il peso della perdita di capitale umano che limita le occasioni di crescita e di sviluppo endogeno dei territori coinvolti.