Scuola: Calabria 2 anni indietro rispetto al Trentino. Invalsi, “prof” anziani e strutture vecchie
Il Direttore dell’Eurispes Calabria Roberto Bevacqua affronta il tema della formazione del sistema educativo in Italia e in Calabria che non solo portano alla dispersione scolastica, ma ad un divario rispetto al Trentino alto Adige di due anni. L’arretratezza delle strutture, l’assenza di servizi di mensa, laboratori e palestre e docenti anziani ampliano la forbice
COSENZA – Siamo all’apertura di un nuovo anno scolastico e ancora una volta si sente la necessità di operare una seria riflessione sul sistema educativo del paese. Scrive Bevacqua: “i dati sulla dispersione geografica che è un indice sensibile della qualità del sistema scolastico di una nazione, ma anche di disuguaglianza nella distribuzione e dell’appropriazione delle chance educative, come sottolinea Parsons, mostrano un generale miglioramento della media nazionale che si attesta intorno al 13%, in sostanziale recupero verso la media Ue del 10%. Resta però ancora un divario Nord-Sud che meriterebbe una seria riflessione da parte del sistema scolastico del paese, sia sui dati della dispersione scolastica, con la Calabria che si attesta al 15,7% e un mezzogiorno che in media raggiunge il 20%, ma anche sull’offerta formativa di qualità in aree considerate da sempre difficili e trascurate”.
“Un ulteriore handicap per il Mezzogiorno – continua il Direttore Eurispes Calabria – si registra con i risultati delle prove Invalsi, con punte di insufficienza intorno al 40%, soprattutto nelle prove di abilità in matematica e inglese. Le prove standardizzate mostrano che il Trentino è la realtà più avanzata d’Italia e con un sistema scolastico in grado di garantire a tutti e a ciascuno uguali opportunità di apprendimento, mentre in forte ritardo è ancora la scuola calabrese. Tutto ciò si sostanzia in un divario di preparazione degli studenti calabresi di circa due anni rispetto ai coetanei del Trentino, come risulta da uno studio della fondazione Agnelli del 2010. Ritardo che, a una prima riflessione, appare dovuto a più di una circostanza.
Formazione e strutture vecchie ampliano il divario
I genitori sembrano interessarsi ai voti più che alla reale formazione dei figli in un complessivo disinteressamento dei programmi e delle verifiche oggettive del loro apprendimento. L’arretratezza delle strutture, l’assenza di servizi di mensa, laboratori e palestre, ampliano la forbice del ritardo. Sono circa il 50% degli alunni del nord ad usufruire della scuola anche nel pomeriggio, mentre nel sud solo nell’11% dei casi si ha la possibilità di una scuola a tempo pieno. Professori demotivati e contesti sociali poco stimolanti culturalmente fanno il resto. Il risultato è, come spiega Roberto Ricci, dirigente di ricerca e responsabile Area prove Invalsi, che la differenza tra gli studenti del nord e quelli del sud nell’interpretare un testo scritto, nel risolvere un problema logico-matematico e comprendere la lingua inglese è minima all’ingresso alla scuola primaria e massima alla fine delle scuole superiori. Ciò dimostra che il processo formativo allarga, paradossalmente, le differenze.
Al sud troppi docenti anziani e poco digitalizzati
Un ulteriore analisi riguarda la polarizzazione della qualità dell’istruzione al sud. C’è una tendenza a concentrare in alcuni istituti un miglior insegnamento e servizi aggiuntivi a scapito del contesto. Inoltre, la maggior parte dei giovani insegnanti proviene dal sud ma dopo la laurea si trasferisce al nord caratterizzato da carenze di docenti e cattedre vuote, come risulta da un dossier CNR sui docenti migranti; così al sud resta una classe di docenti più anziana, spesso con minor competenze digitali, poco motivata dal contesto e costretta a operare in strutture vecchie e insicure. Servono dunque fondi per riequilibrare il divario del sistema scolastico tra le diverse aree del paese, fondi che il Miur in questi anni ha stanziato per l’edilizia e il piano scuola digitale. Vero è che per rendere operativi nel tempo tali fondi è necessario coinvolgere i territori, i comuni e le famiglie e insieme a questi protagonisti occorre un piano di interventi organici generali da parte dello Stato che riequilibri – in un quadro di spesa proporzionale alle variabili territorio e abitanti – le condizioni paritarie di investimento infrastrutturale globale nel Mezzogiorno, affinché anche le condizioni di mobilità, di lavoro e dei servizi possano elevare il contesto sociale, economico e culturale del sud.
Disagio sociale e digitale in tutta Italia
Ma anche la situazione del sistema educativo e culturale italiano in generale mostra i suoi limiti se raffrontata con la media europea, basta incrociare i dati Invalsi con i dati Ocse sull’analfabetismo funzionale e l’intero sistema paese ne esce in difficoltà. Medie che superano ormai il 28% di slow skilled (contro il 7,5% della Svezia) indicano cittadini con difficoltà di interpretazione di un testo e abilità ridotte nel far di conto, incapaci di veicolare e interpretare l’informazione sempre più sotto il controllo circolare da parte dei detentori di dati. L’informazione si riduce spesso a semplice comunicazione, per di più distorta e incontrollabile, ponendo problemi anche di sicurezza nazionale. Nel quadro di quella che Mario Caligiuri, docente di pedagogia della comunicazione all’Unical e direttore del master in intelligence, chiama Società della disinformazione, si realizza una cesoia tra coloro che sono consapevoli della necessità di dotarsi di strumenti necessari al controllo e alla verifica dell’informazione e coloro che ne rimangono tagliati fuori. In questo limbo dunque si crea un forte disagio sociale che si cumula con il disagio digitale che sta separando la popolazione tra fruitori digitali e analfabeti digitali, governati entrambi da algoritmi che gestiscono la spesa e indirizzano sempre più le decisioni di consumo.
Ancora una volta – conclude Bevacqua – è la scuola che, con la formazione e l’educazione dell’individuo, può essere l’antidoto alla disinformazione e al declino cognitivo della società, strumento di capacità utili e necessarie non solo all’economia ma anche e soprattutto alla gestione del pensiero delle nuove generazioni che dovrà reggere le sorti della nazione. Heidegger diceva che la conseguenza di non coltivare la parola porta a un mondo sempre più stupido e povero, oggi dovremmo aggiungere anche più incontrollabile e manipolabile.